Se smettessi di scrivere e bloggare, ovvero del Primo Maggio


È un fatto, benché amaro, né ho vergogna a nasconderlo: all'età di 43 anni il 25 p.v. sto cercando un lavoro; di inventarmi un lavoro.

Gli spiccioli che avevo in conto in banca, fino a ieri un gruzzoletto di cui mi sentivo abbastanza sicuro, si riducono ogni giorno. E mi dispiace per il best-seller di Matteo, di Luca, ma... è esattamente del prosaico "solo pane" che si vive in questa nostra società.

«Ma come?!», mi chiedete, «Non sei un professore universitario?! Non hai una decina di titoli su Amazon e i webstore?! Non tieni conferenze, corsi privati, eccetera?!»

A chi nutre l'ingenua illusione del prestigio di una cattedra accademica, ecco i miei numeri di questi ultimi 13 anni.

Attualmente detengo quattro cattedre nel medesimo istituto. Per svolgere le lezioni mi reco a Macerata una volta alla settimana nel primo semestre, e altrettante nel secondo semestre. Causa maggior numero di ore consecutive, e orari di Trenitalia, da ottobre a febbraio pernotto in città. Questo significa che ogni trasferta mi costa: 30 euro di treno, 40 euro di albergo, 30 euro di varie & eventuali (pasti, imprevisti). Per un totale di 100 euro (circa). Contando le sessioni d'esame, nel primo semestre devo recarmi in accademia almeno una dozzina di volte: 12x100 = 1200 euro. Nel secondo semestre per fortuna non pernotto, me la cavo con 50 euro a trasferta: 12x50 = 600 euro. L'altra grossa spesa mensile è il mutuo del bilocale, per un totale (annuo) di 4800 euro. Solo tenuto conto di queste necessità (casa, lavoro), spendo, da gennaio a dicembre, 6600 euro. Aggiungete il restante costo di una vita normale: le uscite con gli amici, quel minimo di film e libri per non ridursi ad un bruto... e i pasti, gli imprevisti, le bollette... Credetemi, non sono un mondano: la quasi totalità delle mie sere le trascorro sul divano davanti alla tivù: non fumo, non possiedo né guido l'auto, né lo scooter, né ho l'abitudine di cene pantagrueliche né vacanze al top del top (né le gite fuori porta); non frequento ogni week end i locali "perché-sì"... il mio vizio più costoso (l'unico) è Warhammer: ma anche in quello non spendo più certe cifre che si investivano ai tempi d'oro ...

E il mio stipendio annuo di docente universitario, al netto delle tasse, è di circa 5300 euro: come ci si arrabatta, con i numeri negativi?

Il docente a contratto, inoltre, è un co.co.pro: a partire dall'anno prossimo, secondo il Job Act, questa formula sarà invalidata; e piuttosto che trasformarla in altro e/o equivalente ho l'impressione, diciamo la sensazione, che gli atenei licenzieranno i tanti spettri in esubero e accorperanno in poche cattedre titolari l'insieme di discipline di ogni corso di laurea. Ché tanto va da sé, nel presuntuoso sepolcro dell'accademia italiana, che chi ne sappia per esempio di Lettere sia anche accreditato a discettare di Cinema... 

In ultimo: con il fatto di essere sempre stato un docente "a contratto", o a cottimo direi, un expendable che nemmanco Sly Stallone, nonostante abbia servito all'Alma Mater di Bologna, al DAMS, oltreché Macerata, non ho mai maturato un numero di ore/modalità di assunzione e/o concorso tali da entrare nelle mitiche graduatorie... ma a guardare certi colleghi che se ne sono amareggiati la vita, e non hanno mai goduto granché, non so se abbia senso preoccuparsene...

Infamia sull'Italia (le Istituzioni, la società, fin i singoli colpevoli...) che ha permesso e che permette tutto questo. E chiudo con questo odioso anatema la polemica politica. 

Mi sono proposto per corsi di scrittura, sceneggiatura, storytelling ed editing presso vari istituti privati, editori e realtà d'altro tipo: avrete forse letto nel mio profilo che ho insegnato per tre anni a Scuola Comics Pescara. Quest'anno ho abbandonato: ché dato il compenso massimo previsto dall'Istituto (3000 euro per 9 mesi... né l'ombra di un contratto...), calcolate le spese di viaggio e le varie & eventuali sarei andato in forte perdita di altrettanti quattrini.

Inoltre: l'università, per quanto se ne possa dir male, garantisce ancor oggi (quasi) la presenza e continuità di corsisti. Anni di esperienza sul campo mi costringono a affermare, purtroppo, che gli entusiasti propositivi istituti privati, le associazioni culturali, cooperative, eccetera, pullulano di ridicoli, irrisolti dilettanti che accorrono a decine alla prima (gratuita) lezione di prova; cincischiano al momento dell'iscrizione (quando il gioco minaccia di farsi serio) e si riducono a cimentarsi davvero in non più di quattro gatti. Quel genere di persone, insomma, che si abbaiano scrittori; che pretendono di imparare, migliorare, diventare professionisti ma che alla fine "a questo corso non posso partecipare, perché il venerdì ho la partita di calcetto" (true story). Le quote di iscrizione a questo tipo di iniziative si aggirano in media attorno ai 200 "popolari" euro a persona; ai docenti ne tocca il 50%... fate i vostri conti su quanto io racimoli, con questi lavoretti: 1000 euro ogni anno, se è stagione di vacche grasse.

Quindi, si diceva, trovare un lavoro vero (per citare quell'ormai-classico e anonimo dell'umorismo): e scrivere, da ridotti uno straccio e sbadigliando con gli occhi gonfi, nei ritagli di tempo.

«Stringi i denti! Vedrai che prima o poi azzeccherai il romanzo giusto, e allora!... del resto, hai già molti e positivi riscontri da quel che leggo qua e là sul web!»

Non si tratta di un film di Hollywood; la favola di Cenerentola non è un allegoria per aspiranti scrittori. Ve lo dice un Premio Urania che si è spiaggiato nell'anno 2012, e i colleghi mi confermano che qui insabbiato sono in buona e numerosa compagnia. Quel poco che ho annusato della grande editoria mainstream (mi capitò di frequentare una editor Garzanti, che bazzicava gli ambienti del Premio Strega, Campiello, gli autori in odore di ospitata da Fabio Fazio... e che mi ha molto rivelato di quel che accade nei piani alti...) mi ha convinto che chi vende, lavora, guadagna con i libri lo fa su presupposti che non hanno a che fare con il merito o il contenuto di un testo. Il vergognoso episodio Loredana Lipperini-Lara Manni, anni fa, è un esempio fra i tanti per aiutarvi a capire... Ma sempre più lettori se ne accorgono ogni giorno.

Chi crede alla barzelletta dello scrittore che a notte fonda, dopo otto ore d'ufficio o di fabbrica, di famiglia, magari, lavora alacremente al nuovo capolavoro, è un ingenuo, uno sciocco. Certo, si può fare; ci si crede e definisce scrittori e si pubblica su Amazon: schifezze, mediocrità; nonostante i 300 amici di blog e Facebook ti scrivano e ti “piacciano” che il tuo romanzo è bbbellissssssimo (resta inteso che non l'acquistano). Per scrivere davvero e magari farlo bene - non nascondiamoci dietro scuse - migliorare come autore e ottenere risultati professionali, occorre dedicarsi principalmente, se non esclusivamente, allo scrivere, appunto: oppure attività strettamente collegate.

Oltre a leggere le opere, degli autori che ammirate, scorretene se è possibile certe oneste biografie: scoprirete, sui loro conti di lavandaia, molti aneddoti piuttosto tristi; dovrei dire meschini.

L'editoria digitale ha introdotto l'illusione che ora anche in Italia si campi di scrittura: tutto è diventato più facile e immediato; abbiamo scavalcato gli elefantiaci, truffaldini mammasantissima della Grande Editoria Che È Il Male & La Tenebra. Morte ai vecchi evviva i gggiovani. Come no? Gli editori digitali più onesti vi corrispondono il 25% del prezzo di copertina al netto delle tasse, e dopo aver sottratto quanto dovuto a distributori, illustratori ecc. Non è per cattiveria o che ritengano lo scrittore uno schiavo: è quanto possono per fatturare e continuare essi stessi ad esistere. Fatevi spiegare da chi ne sa di gabelle perché molti de facto editori figurano al fisco come associazioni culturali, o factory, invece che come aziende... Inoltre, tali royalties vi saranno corrisposte solo in caso che l'importo che vi è dovuto raggiunga almeno i 25-50 euro. Io, che mi reputo fortunato ad avere dei lettori, ed ho azzeccato quel paio di titoli, guadagno, con gli e.book, 200 cucuzzine l'anno; se non avessi vincoli editoriali sarebbero 500... forse.

Potrei produrre robaccia che vende facile e soddisfa i pruriti: storie di segretarie che fanno sesso con T-Rex nazisti ibernati su Saturno; in città edificate dai Grandi Antichi dove echeggiano in perpetuo le canzoni di Bob Marley cantate da gladiatori-surf-motociclisti... Ma, ahimè, sono cresciuto con troppi film e troppi libri in cui ricorre il concetto di amor proprio; di onore; e ritengo le discipline umanistiche un vallo alla barbarie. Non voglio che chi pronuncia il mio nome (di autore) lo faccia con sulle labbra quel sorrisetto di sufficienza.

Chi si vanta di bilanci da autoprodotto, o da piccolo editore, di “decine di migliaia di euro ogni anno” (sic; né cito la folle fonte), maturati su ebook con prezzo di copertina di 1.99 o 0.99 è un cialtrone. O, nella ipotesi peggiore (e in tal caso lo compatisco di tutto cuore), ha qualche problema clinico di percezione della realtà e di sé stesso.

Pubblico con Delos, Imperium, e lavoriamo di buona lena e al meglio che possiamo: ma non siamo quotati in borsa, né abbiamo le redazioni in strade di Milano che portano il nostro nome. E il pane lo procuriamo, ciascuno per conto proprio, con altre attività. Finché ci spinge avanti l'assurdo di Sisifo e Camus.

Con un lavoro suddetto vero non si gioca allo scrittore e al blogger: dovrei chiudere Il Grande Avvilente e abbandonare i progetti in hard disk. Quindi: che fare? Che magari fosse il titolo di un romanzo di Černyševskij... È un dubbio angoscioso, perché una delle cose che so per certo - chiamatela sorridendo una postura d'artista - è che smettere di scrivere significherebbe morire, per me. Non è una metafora. Ognuno àncora la propria vita a qualcosa: i figli, la fede, un amore, un ideale... a me, purtroppo, è toccato da che ho memoria questo fondo limaccioso.  

Per ora, questo è il Primo Maggio dello pseudo-lavoratore Alessandro Forlani. Che vi augura di non trascorrerne altrettanti né avere velleità se non nutrirvi ed accoppiarvi.



Alessandro Forlani

sedicente scrittore, è nato negli anni '70 del XVII secolo, si è reincarnato nel XIX, nel XX e millenni a venire. Nerd, negromante, roleplayer e autore "difficile" di racconti fantastici. Di giorno si impaluda da docente universitario e ciacola di sceneggiatura, cinema e scrittura; di notte, che dovrebbe far l’artista, piuttosto guarda film, legge fumetti, ascolta musica barocca, gioca a soldatini e poi va a dormire. Perché crede che sia più sano scrivere in questo modo.

5 commenti:

  1. Dio mio, non immaginavo che fossimo arrivati al punto in cui persino un docente universitario potesse essere "un contrattista a progetto"... la cosa che mi fa incavolare è che poi, magari, ci sono i pochi baroni che intascano uno stipendio mensile col quale si potrebbero retribuire tranquillamente (e decentemente) tre docenti come te che non hanno la fortuna di essere entrati nel gotha accademico.
    Che dire, ogni parola sarebbe fuori posto. Purtroppo condivido la crisi di questo paese e "festeggio" in questo primo magio il mio quattordicesimo mese di cassa integrazione. Siamo più o meno coetanei (io ne faccio 45 ad agosto) e devo ringraziare Dio che i miei genitori sono ancora di questo mondo e hanno risparmiato come umili formiche per tutta la vita permettendosi ora di potermi dare una paghetta mensile senza la quale non so cosa racconterei a mia moglie e mia figlia quando mi fanno notare che bisogna fare la spesa perché il frigo è vuoto ed è appena arrivata la bolletta del gas...
    Sicuramente, se ti piace tanto non smettere di scrivere. Io pure non credo che saprei farne a meno, anche se ormai è chiamo anche per me che sono solo un velleitario dilettante senza speranze, ma d'altronde i campi di calcetto sono pieni di quarantenni che sanno di non essere mai stati grandi calciatori e però, caspita, perché dovrebbero togliersi pure quello, perché dovrebbero rinunciare persino alla sensazione di esserlo amatorialmente in un'anonima periferia?
    Tanti auguri Alessandro, e assolutamente non mollare. I miei genitori (forse anche i tuoi) mi hanno raccontato centinaia di volte della loro infanzia nel dopoguerra, di partite a calcio con palloni fatti di stracci ed elastici, di pranzi di natale a base di pane e grasso di pecora, di scarpe che si indossavano in estate, inverno, ogni giorno ma anche di domenica, e dovevano durare per anni e anni. É giunto il nostro momento di dimostrarci alla loro altezza, con lo svantaggio che loro sono passati dal peggio al meglio mentre per noi è il contrario. Ma possiamo farcela. Se necessario sappiamo restringerci e adattarci ;-)

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  2. Purtroppo, discorrendo di scrittura con parenti&amici, la generale impressione è totalmente falsata. Sembra, a sentirli, che basti "pubblicare" per essere milionario a vita. Non aiuta che il più delle volte siano gente con lavori fissi in provincia/regione e che pur piangendo del fatto che "gli italiani leggono poco" di fatto non comprino mai libri se non come regalo a Natale... :(

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  3. Tutto quello che posso dire è: in bocca al lupo. Lavorare in perdita con il gruzzolo di sicurezza che si consuma è una situazione che ho già provato anni fa, e non piace a nessuno.

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  4. ENRICO: Chi è mai che desidera questo? Mio cugino Westmoreland? No, mio caro cugino. Se è destino che si muoia, siamo già in numero più che sufficiente; e se viviamo, meno siamo e più grande sarà la nostra parte di gloria. In nome di Dio, ti prego, non desiderare un solo uomo di più. Anzi, fai pure proclamare a tutto l’esercito che chi non si sente l’animo di battersi oggi, se ne vada a casa: gli daremo il lasciapassare e gli metteremo anche in borsa i denari per il viaggio. Non vorremmo morire in compagnia di alcuno che temesse di esserci compagno nella morte. Oggi è la festa dei Santi Crispino e Crispiano; colui che sopravviverà quest’oggi e tornerà a casa, si leverà sulle punte sentendo nominare questo giorno, e si farà più alto, al nome di Crispiano. Chi vivrà questa giornata e arriverà alla vecchiaia, ogni anno alla vigilia festeggerà dicendo: "Domani è San Crispino"; poi farà vedere a tutti le sue cicatrici, e dirà: "Queste ferite le ho ricevute il giorno di San Crispino". Da vecchi si dimentica, e come gli altri, egli dimenticherà tutto il resto, ma ricorderà con grande fierezza le gesta di quel giorno. Allora i nostri nomi, a lui familiari come parole domestiche – Enrico il re, Bedford ed Exeter, Warwick e Talbot, Salisbury e Gloucester – saranno nei suoi brindisi rammentati e rivivranno questa storia. Ogni brav’uomo racconterà al figlio, e il giorno di Crispino e Crispiano non passerà mai, da quest’oggi, fino alla fine del mondo, senza che noi in esso non saremo menzionati; noi pochi. Noi felici, pochi. Noi manipolo di fratelli: poiché chi oggi verserà il suo sangue con me sarà mio fratello, e per quanto umile la sua condizione, sarà da questo giorno elevata, e tanti gentiluomini ora a letto in patria si sentiranno maledetti per non essersi trovati oggi qui, e menomati nella loro virilità sentendo parlare chi ha combattuto con noi questo giorno di San Crispino!

    (W. Shakespeare; "Enrico V")

    Grazie a tutti, Band of Brothers.

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