Gli scrittori regalano racconti. Ed ecco, puntuale come ogni anno, la mia piccola novella di Natale. In questi mesi lo sword & sorcery mi ha dato belle soddisfazioni, mi ha divertito e mi ha dato nuova linfa. Perciò, per questo 2016, vi regalo una storia ironica e fantasy molto sopra le righe. Ma il racconto è anche ispirato a una recente madeleine per due grandi giocattolai della mia piccola città, che mi insegnarono il piacere del modellismo e del costruire. Buone Feste, miei cari Lettori!
Al Sig. Cicoli e il Sig. Rossi
Le
stelle illuminarono la Grande Sala di Dohl, le campane di oricalco
rintoccarono mezzanotte. Thingol, Eldarion, Elenwë
e Bruithwir attraversarono l'ampia soglia, si inginocchiarono
all'Alto Sire, omaggiarono la Regina sui loro troni d'avorio ed oro. La nobiltà di Rivengladis li attorniava silenziosa.
«Figli,
principi», li apostrofò Re Caranthir, «è la vigilia del Sole
Invitto, e gli déi e la vostra stirpe vi impongono un giuramento. La
Madre Luna e le ancelle stelle vi rivolgono il loro sguardo, vi
domandano con quali gesta onorerete la nostra casa.»
Elenwë
mostrò al sovrano la lunga lancia d'argento e frassino, velò
di seta lo scudo a goccia con le insegne della stirpe:
«Questa
lancia fu forgiata per trafiggere carne e scaglie, è legno magico, non teme il fuoco. La mia promessa ai miei pari elfi è di partire
alla ricerca del Serpe Skatarax, che infesta da troppi secoli i
nostri boschi di Galatrien. Il mio scudo sarà celato, e il mio nome
sconosciuto: io non godrò diritti, privilegi né di onori fino a
che la bestia morirà su questa punta.»
Bruithwir
levò l'arco, e una faretra di lunghe frecce che crepitavano di
bianche folgori:
«Il
mio voto è cavalcare tutte le strade di questo regno per fulminare
di ratta morte gli adoratori di Baphulat, che profanano da troppo
tempo i nostri luoghi più sacri.»
Eldarion,
il giovane, snudò la bianca spada, la offrì alla Dama Iminyë
e promise con passione:
«Madre,
io non ho l'esperienza e la forza dei miei fratelli: devo ancora
molto apprendere circa l'arte della guerra, e non voglio portare il
lutto su questa casa, e straziarti di dolore, avventurandomi in folli
imprese. Tuttavia», si rivolse ai cortigiani, «nessuno dubiterà
del mio coraggio e il mio valore: questa spada è la tua spada; il
mio voto è di servirti da Campione di Giustizia, ove il nome, la
maestà e l'onore siano messi in discussione da spregevoli
accusatori.»
I
nobili, inteneriti, applaudirono d'approvazione; gli occhi d'ebano di
molte dame luccicarono di lacrime; Elenwë e Bruithwir, abbracciato
il fratellino, gli scarmigliarono i lunghi folti capelli bianchi con
affetto canagliesco:
«Hai
cuore, ragazzino!»
Caranthir
li azzittì con un gesto imperioso:
«...
e il mio primogenito», domandò fiero ed ansioso, «l'erede del mio
trono, il Delfino di Rivengladis: qual è la tua promessa?»
Thingol
si avanzò dimesso e disarmato: il
Sire si aggrottò, e sua madre si adombrò di dispiacere.
«Ho
cercato nel mio cuore, devo onorare la verità: io non sono nato per
la gloria e per la guerra. Io... voglio fare il giocattolaio.»
«Come
sarebbe, giocattolaio?! È
un mestiere della plebe!»
I
suoi fratelli lo spernacchiarono, e i cortigiani mormorano di
scherno. Lui sopportò quelle feroci trafitture, spiegò le sue
ragioni:
«Non
voglio bandire demoni, sterminare abomini o sconfiggere i nemici e
disperderne gli eserciti. Ho imparato a intagliare il legno, so i
segreti dell'argilla, so le tecniche del metallo e so dipingere e
miniare. Gli déi mi hanno donato la pazienza, l'inventiva, sono un
abile artigiano: voglio onorarli fabbricando giocattoli per la gioia
dei bambini.»
«È
vergognoso!», tuonò Caranthir.
Lui
si appellò alla madre: Dama Iminyë
si alzò tremante dal seggio d'oro, affondò piangendo il viso nel
manto azzurro ed allucciolato e - seguita dal suo seguito, e
l'animoso adirato Eldarion - fuggì alla rampa di scale a chiocciola che
saliva alle sue stanze.
«Me
la paghi, codardo!», minacciò suo fratello.
Elenwë
e Bruithwir lo avvicinarono con le peggiori intenzioni, Thingol tremò
di leggere sulle labbra di suo padre, ammutolito dall'onta,
l'intenzione di rinnegarlo ed esiliarlo dal reame.
«Sire»,
si indignò un anziano nobile fra i maggiori della corte, «è
tradizione che la promessa dei nostri principi sia protetta e
patrocinata dai vassalli di maggior pregio: è un onore.»
«Dovrebbe
esserlo, Duca Rimion.»
«La
mia casata serve il Trono da secoli, e si è sempre presa cura dei
primogeniti dei nostri Re. Risparmiami l'affronto di adottare questo vile.»
«Durissime
parole», Caranthir si piegò,
«ma... hai ragione, Duca Rimion: è un'offesa che non meriti.»
L'anziano,
soddisfatto, prese Elenwë
sottobraccio:
«Tuttavia,
mio Re, non mancherò di soddisfarti: sarò padrino del tuo secondo.»
«Io
di Bruithwir!», si offrì
un Barone. Thingol fu scansato, spintonato dai cortigiani. E la
radiosa Marchesa Ainwen, scoccandogli schifata, chiese il permesso di
raggiungere la regina per proporsi da madrina della promessa di
Eldarion.
«Dichiaro
chiusa la cerimonia del Sole Invitto: le campane hanno suonato,
voti... nobili
sono stati pronunziati», suo padre dichiarò: quella formula di rito
echeggiò priva di senso. La
corte e i suoi fratelli abbandonarono la sala. Caranthir,
contravvenendo la millenaria etichetta, volle uscire per ultimo:
«Resta
qui a riflettere.»
«Non
posso ritrattare», lui si morse i labbri, «sarebbe un'empietà.»
«A
meditare la tua miseria», disse il Re. Gli chiuse in faccia i
battenti bianchi di quel luogo di purezza: che forse, in tante ere
trascorse, non aveva mai veduto consumarsi una farsa simile.
Dohl
era azzurrata dalla luce della luna, Thingol soffriva steso su quel
gelido pavimento lacerato dal dolore, la vergogna e dall'onesta
verità. Lo trafiggevano l'aspra pena di sua madre, di suo padre e il
disprezzo dei suoi fratelli che non lo avrebbero perdonato. Forse
- paventò - gli avrebbero pure giurata morte. Ma tradire e mentire e
rinunciare a sé stesso gli parve, se possibile, un'infamia anche
peggiore.
Nelle
tenebre della colpa, e la più cupa disperazione, lo abbagliò una
luce rossa e dorata e l'allietò un impossibile tintinnio di
campanelli, il bramito e lo scalpiccio di un'insolita pariglia. Una
nube di neve e zucchero si addensò nella sala, e un imponente
figura rossa, cordiale e barbuta candida, apparì fra quei vapori e
tuonò in una risata:
«Oh
oh oh! Buonanotte, principe giocattolaio!»
«Chi... che cosa sei?!», lui si sbigottì.
L'enorme
vecchio infilò le mani nell'ampia cinta di cuoio nero che, fermata
da un fibbione, gli stringeva il grasso ventre in quella giubba
scarlatta ed ampia, confortevole di pelo contro il gelo della notte.
«Nicholas Ch.Mas Noél: mi ritengo... un imprenditore. No profit. Nel settore
giocattoli. Posseggo alcune fabbriche nel polo artico di un altro
mondo, in un'altra dimensione. Sono attivo da venti secoli, ho
intenzione di espandermi. Filiali in tutti i mondi e le pieghe
dell'universo: sto cercando un direttore del personale. Ti interessa la mia proposta?»
«Un...
che cosa? Non parli la mia lingua, mago: non capisco un accidenti.»
«Oh
oh oh, voi medievali! La magia dovrebbe farvi progredire, mica
imbacucchirvi in ere eterne di draghi e spade! Ma insomma, detto
semplice: sono anch'io giocattolaio, ma in grande, molto
in grande. I miei garzoni sono elfi pressapoco come te, da tutti gli
angoli dei multiversi. Di', hai problemi a lavorare con i Silvani,
gli Alti, gli Elfi Oscuri, quei Teler contaballe? Sai com'è: sono
operai;
ho bisogno di qualcuno con attitudini di comando, leadership, maestà.
Come diavolo ti pare. Tu sei principe, oh oh oh! E a giudicare dal
tuo curriculum un artigiano per niente male.»
«Dal
mio... che?!»
«Lascia
perdere, oh oh oh! Dal tuo albero genealogico.»
«Sarò presto diseredato.»
«La tua autentica nobiltà.»
«Mi...
sento un po' stordito. Mi hai fatto un incantesimo?»
«Sì,
ti capisco: hai bisogno di un sopralluogo. Decolliamo per la
fabbrica, ché poi mi saprai dire.»
Noél
lo spinse fuori dall'aula sacra di Dohl: una slitta di lacca rossa
trainata da sei renne li attendeva a un terrazza prospiciente le
foreste. Thingol si ritrovò su un seggiolino di passeggero prima ancora
di riprendersi dallo stupore per quel veicolo: che, si accorse solo
allora che dondolò del suo peso, fluttuava a pochi palmi da terra su
un pulviscolo dorato.
Il
mago incitò le renne, la slitta prese il volo: il palazzo e i Regni
Elfici rimpicciolirono ai loro piedi, il vento li sferzò con furia
stupefacente. Attraversarono le plumbee nubi invernali e si tuffarono
in un gorgo rosso che si aprì nel blu notturno.
«È
il mio wormhole, oh oh oh! Siamo quasi sulla Terra.»
«...
wormhole, Terra...»
«Tu
mi piaci: impari in fretta.»
Affiorarono
da un altro cielo su altro mondo, innevato, e betulle e verdi abeti
che si perdevano all'orizzonte. Sorvolarono la foresta e scivolarono
su ghiacci eterni, e calarono di quota su un immenso palazzo rosso
coronato di comignoli che pungevano le nuvole. Le vetriate
luccicavano di luce calda color arancio e pencolavano di nastri rossi
e di corone di verde vischio, che attutivano un inesausto e frenetico
operare. Galopparono a un cortile. Ricoverarono in una stalla
attrezzata bizzarramente: Calaquendi in giacca verde con il
berretto con il pon pon agitarono bandiere e torce e srotolarono
lunghi tubi, e posarono strane incudini sotto i pattini della slitta.
Trasportarono aggeggi e casse con veicoli a pedali.
Il vecchio balzò a terra. Lui si lasciò prendere e sollevare dal seggiolino:
«Frastornato,
sì? È normale, oh oh oh! Chi non soffre di jet lag?»
Uno
dei lavoranti a quella specie di rimessa - dagli antipatici e solerti
modi dei Dokkálfar del Sottomondo - li accolse cerimonioso
prendendo note su pergamene:
«Bentornato,
signor Noél. Volato bene, signor Noél? È un vostro ospite, signor Noél?
Chi ho l'onore di conoscere?»
«Thingol,
da... qualche parte fra gli universi. Potrebbe essere il tuo nuovo
capo; sarà
il tuo nuovo capo: dico bene, giovanotto? Oh oh oh! Ti conviene
trattarlo a modo!»
L'enorme
mago cavò di tasca un cartoncino scarlatto ed oro che recitava XMAS
ONLUS - PROJECT MANAGEMENT già completo del suo nome. Gliel'appuntò alla casacca azzurra. Lui - benché stordito: fu una bellissima sensazione! - si commosse e
ne inorgoglì più di un serto da guerriero, degli alati e lucenti
elmi e le corone di Rivengladis.
L'Elfo Oscuro batté i tacchi delle ridicole babbucce a punta:
«Buon
Natale, signor Thingol! Benvenuto nella ditta!»
©
Alessandro Forlani 2016