Gli scrittori regalano racconti. Ed ecco, come ormai da una dozzina di anni, il mio tradizionale Racconto di Natale. Questo è stato l'anno di un'importante pubblicazione ("Non tutti certo moriremo"; Zona 42), ed è stato ancora un anno veneziano e un altro anno di guerre e cronache di sessismo: quindi, nel racconto del 2023, troverete queste cose, un po' di meno e un po' di più. Pubblico questo post il 21 di novembre: buona Festa della Madonna della Salute ai cittadini - in anagrafe e nello spirito - della Repubblica Serenissima, E, a tutti i miei Lettori, Buon Natale e un celeste Nuovo Anno.
«Eccola, il mio
capo!», Marcos la salutò, «puntuale come ogni anno!»; le sue dita si muovevano
nella luce del tramonto come ali di falena.
Come i lembi di
banconote.
«Ti ho fatto un
bonifico questa volta», disse Miriam.
L’alito freddo di
quell’inverno arrossò e spettinò Marcos, e gli tolse in un sorriso dalla faccia
quell’espressione stordita e sazia. Ma comunque soddisfatta.
«Ah beh, ma
allora… non c’era mica bisogno… Non usiamo più i denari?»
«Sì, ma chiamali contanti.»
«Mi è già
arrivato?», controllò lui.
Con una certa
difficoltà: maneggiava sempre l’iPhone come una tavola di legno e cera, era un
modello di chissà quando, più una lavagna che un cellulare.
«Sono anch’io
contenta di vederti.»
«Perché sei qui? È
un viaggio… lungo», disse lui misurando la Giudecca con uno sguardo che
da San Giorgio pattinò fin San Basilio: ma stremato da distanze che gli
segnano le ossa, lei capì. Quelle distanze che conosceva, che non
avrebbe percorso più; gli diradavano la barba crespa ancora bionda di risse in
mare. Era capace di immaginare la lontananza di golfi in fiamme, e il fracasso
delle mura che rovinano nell’acqua. Lo aveva assunto per il ruggito e per le
fauci della sua prosa, continuava a compensarlo per le ali dei suoi verbi.
Anche se - passando il tempo, e non avendo più scritto nulla - assomigliava
ogni giorno peggio ad un bagnino tirato in secca.
«Perché ho creduto
ti avrebbe fatto piacere. Perché a me fa piacere.»
«È tua la
decisione. Ma venire fino qui...»
Lei si strinse nel
cappotto, si sfregò le mani brune, schiacciò il capello di lana azzurra sulla
fronte e i ricci scuri:
«È stato scomodo,
lo ammetto, e faticoso: perché sempre Venezia?»
Era partita da Tel
Aviv con i suoi abiti più pesanti - «ché in Italia a dicembre fa molto freddo»,
le ripetevano in chat la Chicca, Luci e la Cate in stage a Siena; s’era fermata
a acquistarne altri quello stesso pomeriggio.
Si sentiva già un
po' meglio, con quel Balestra di lana blu. Lo aveva preso due taglie largo...
Ma ricordava di
avere letto un detestabile poeta russo che derideva chi appena lì
comperava dei vestiti.
Era un vizio dei
turisti.
Sarò pure una
turista,
s’accrucciò Miriam a pugni in tasca, ma sto più calda. Ma sto a mio agio.
«Se è giovanissima!
Se è carinissima!», le aveva detto la titolare della boutique; le lasciò
pendere la cinta chiara lungo l’anfora dei fianchi.
«Ci vediamo in un
bel posto?,
ti chiede sempre la gente: beh, è difficile un più bel posto di questo»,
lui rise.
«Per te è più
comodo, da che ci vivi.»
Ma era dura dargli
torto.
Il tramonto sciabordava
contro il marmo ed i battelli che chiocciavano e stridevano alle corde verdi d’alghe,
le onde lunghe della sera carezzavano il granito. Alla luce che fuggiva sotto
gli archi di Marghera - quelle fiamme sul cobalto, sull’acciaio e sul petrolio,
sei chilometri di mare verso il ferro delle notti - i cortili e le facciate si
incendiavano d’arancio, coppi e intonaci sanguigni sotto il piombo delle nubi.
Sugli zoccoli, i gradini, i lastricati irrequieti aleggiava un’ombra azzurra di
maree e di temporale.
«Ti trovo bene»,
la invitò Marcos: le fece cenno ché lo seguisse lungo una riva di pietre
bianche, il marciapiede e gli imbarcadero luccicavano di mare; «sei più
pienotta, ma in senso sano. Si può dire "più pienotta"?»
«Si può dire.»
«Più pienotta.»
«Camminiamo un po'
piano.»
«Diˈ, stai bene?»
«Sono stanca.»
Eco terse di
campane rotolavano nei calli, si staccavano dorate, rosse, bronzee dalle chiese
e cadevano ovattate nella sabbia dei fondali. Coi conati dei motori, con i
gridi dei gabbiani, i tinnii di vino rosso e i tramestii dei turisti. La città
affondò nel viola, chinò i tetti al cielo blu. La luna gelida affiorò lontano
tra il crepitare di stelle bianche. Una vetriata universitaria, l’androne caldo
di un ristorante, la porta a vetri di un supermarket e uno studio di dentista
esponevano al passaggio un abete rattrappito.
L’unico albero di
palle e nastri che scintillava sulla Giudecca era a suo modo l’hotel degli
Hilton oltre il cupo del canale..
«… e manca appena
una settimana», disse Miriam, «ciò nonostante… non è sentito il Natale, qui»;
ne era sempre stupita, per un paese cattolico.
Raffreddò.
Veniva buio.
«Lo si sente un
po' di meno», dovette ammettere Marcos: intendeva in generale. Quei
motoscafi di polizia che pattugliavano i calli scuri, quegli agenti con il
kevlar, quelle armi, quelle torce intimorivano l’imbrunire e pesavano sui ponti,
sui passanti infagottati, su una stella di Israele scarabocchiata su una
facciata e su una svastica a una parete che ieri sera però non c’era. Su una
bandiera palestinese da una finestra accostata, buia. Lampadine fioche fioche si
accendevano in vetrina; fili argento spennacchiati, nelle profonde caffetterie,
attorno ai monitor di breaking news di incendi e di macerie.
Gaza.
Guerra.
«Terrorismo. Finché
non capita non ci puoi credere, ma pare che Venezia potrebbe essere un
obiettivo. C’è il Ghetto», disse lui: come prendesse qualcuno in giro…
Un obiettivo per
chi.
Di cosa.
Miriam lo guardò
muta. Sciocca. Costernata.
Lui tossì, stornò
lo sguardo, tornò alle loro immediate cose:
«… ma quindi il
libro si vende bene.»
«Sempre. Scherzi?
In ˈsto periodo… Solo Charlie vi surclassa tutti quattro.»
«Charlie è bravo»,
disse Marcos, «e il suo Canto è un bel racconto.»
«Non l’hai mai
letto.»
«Ma ho visto il
film. Mettici pure che è uscito il film.»
«Quale hai visto?»
«Ce n’è un sacco.
Ne hanno tratti proprio tanti.»
«Ah, perché dai
vostri no?»
«Dài, non è la
stessa cosa: mai visto gli Atti di Topolino.»
«… e cooomunque»,
disse Miriam, spiegazzando da una tasca alcuni fogli stampati, e srotolandoli
su una tabella di percentuali pro-capite - «come sempre», gli mostrò, - «il
libro vende. Vai forte, sì. Ma ogni volta Levi e Loukas ti surclassano. Di
brutto. Sia te che Giovi… Non fa riflettere?»
«Ma è comprensibile»,
sospirò lui.
«Non ti dispiace?»
«Io mi
accontento.»
A San Basilio la
riva antica si spezzò in un porticato, proseguiva stretta ai muri che si
affacciavano a Santa Marta. Oltre l’olio di un canale c’erano stabili più
moderni, magazzini, dormitori, casermoni militari, uno scalo da crociere con
cannoni sulla porta, vecchi e muti falconetti fatti imbuto di immondizie. Un
monumento per quel Vivaldi che quel Vivaldi non meritava, certo, così brutto…
La vecchia calle si
interrompeva su uno scavalco di zinco e legno. Marcos, indifferente, le accennò
che fosse meglio e più piacevole tornare indietro. Le indicò una tenda bianca,
tavolini a una parete, scintillanti di mollette contro un vento un po' umorale.:
«Ci fermiamo là "da
Nico": non devi perderti il gianduioto! È un gelato tutta panna con questo
tocco di cioccolato, che… »
«Mi dà la nausea.»
«Ma no, è
buonissimo!»
Miriam, greve, lo
trattenne:
«… perché in
effetti un motivo c’è, se sono qui di persona. Se non ho inviato come ogni anno
Gav o Mik del commerciale. Posso farti una domanda? Voglio fartela da sempre.»
«Sei il capo,
Miriam.»
«Perché tu e
Giovanni non avete mai scritto niente, a proposito della sua nascita? Siete
entrambi autori professionisti, lo eravate già all’epoca, sapevate che avrebbe
avuto successo. Una famiglia di profughi in fuga, il parto in una stalla, me da
ragazza "che faccio cose"… La ragazza che parlò con gli angeli; la
ragazza e i tre veggenti, o la scelta di Maria… non avevi
l’imbarazzo della scelta? I tre Magi Sans Frontières, il genocidio di Erode.
Questa è roba da ristampa nei secoli dei secoli. Lo sapevi, Marcos, vero?»
Lui sorrise.
Bofonchiò. Si grattò la barba chiara. Guardò l’est che si scuriva con negli
occhi un «accidenti, beh», un «insomma»; l’imbarazzo e la gran voglia di
ritornarci, ma all’istante, per non doverle spiegare altro; rotolare
oltre le onde con quel poco di sole che ancora ardeva, che incrociava i
vaporetti, i taxi, i motoscafi, le chiatte lente d’acciaio verde che
mugghiavano nel mare.
Poi sbottò:
«Non so mentire. Capo,
Miriam, io non dovrei, ma ormai è giusto che tu lo sappia: Giovanni vive… sta
sulla Luna, per quello che mi riguarda. Non ci siamo mai piaciuti, non ci siamo
più cercati. Lo abbiamo perso, non si fa vivo…»
«Sta molto male.
L’Alzheimer, temo…»
«… ma hai presente
quel finale tutto mostri e cataclismi, draghi, scontri, cavallette corazzate? Giovanni
già all’epoca voleva darsi al fantastico, non voleva saperne di un memoir
su tuo figlio. Non ha avuto il coraggio, non sapeva dirti "no". Ci ha
provato - ci ha provato! - ma aveva in testa le storie sue: i sigilli, i
cavalieri e le spade fiammeggianti. Tu gli hai imposto una scadenza, non aveva
scritto un rigo: e, quando è stato il momento, ti ha rifilato, rimaneggiati,
quei tentativi di saga fantasy. Horror. Qualsiasi cosa intendeva fosse.»
«Che pure
piacciono…», lei si consolò.
«Fai un sacco di
quattrini con i diritti…»
«… è così.»
«… con i diritti
per i roleplay, videogiochi, i fumetti. Le copertine degli album metal.»
«… soprattutto.»
«Con i giochi,
Miriam, tutti giochi. Draghi. Cavalieri. La battaglia definitiva. Devi
ammetterlo, Capo. Tutte cose da nerd.»
«Tu perché non hai?…»
«Perché ho voluto
restare onesto. Sono arrivato un po' dopo, i fatti, se ricordi, mi ci ha messo
in mezzo Paolo.»
«l’Ufficio
Stampa?»
«Quel Paolo, sì. Io
non credevo, non ho creduto, io non credo a quella storia…»
«Puoi parlare
apertamente.»
«È stato tipico di
tanti re, dei Cesari, gli Hohenstaufen, dei Windsor, gli Orléans… Anche Josip,
tuo marito, discendeva da re David.»
«È stato tipico che
cosa, Marcos?»
«Gli piacevano i
ragazzi. Non è mai stato con te. L’hai avuto, un figlio, Miriam?»
«L’hai
conosciuto.»
«Non l’ho mai
visto. Mai, di persona. Ho studiato degli appunti. Levi e Louk mi raccontarono
che era il migliore, nel suo lavoro, che era entrato nella parte, che è
arrivato fino in fondo; che poteva assomigliarci, a un tuo figlio o di Josip. Che
il progetto andava bene. Sono tutti modi strani di non dire una bugia.»
«Il progetto ha
funzionato», Miriam si stizzì.
«È una bella
montatura, sono numeri gonfiati. Un fiammingo e un messinese t’hanno ritratta
coi libri in mano, sei la Vergine Leggente: una donna in carriera
nell’editoria, da pale lignee per cattedrali e copertine di "Times" e
"Forbes". Ma in quanti ci hanno letto e ci leggono davvero?»
Il passeggio
diradava in gente sola col proprio cane che scivolava in chiassuoli stretti di
appartamenti universitari, case d’anziani con i gerani e abat-jour dietro una
tenda. L’eco triste e un po' senile di uno spot di Buone Feste, quello
terribile dei notiziari che accatastavano persone morte. Lingue nere lente e
lunghe si insinuavano dal mare, e portavano la salsedine sui gradini, sui
piedi, e un odore di fondale dentro il piatto della sera.
I dorsi grigi dei
ponti lunghi erano lucidi, bagnati, freddi; erano curvi d’oscurità.
Le due sponde di
Giudecca baluginavano di un loro argento.
Sulla soglia vetro
& neon della Caˈ Foscari in Ponte Longo quattro studenti mediorientali
intirizzivano fumando al freddo. Dall’interno proveniva un insistito fracasso,
uno sbattere di sedie. C’era qualcuno che litigava. Ma i quattro giovani
appoggiati fuori si grattavano ridendo. Li raggiunse una compagna che sembrava
più seccata, e sembrò rimproverarli; e poi un’altra - da dentro,
accalorata, in maniche di camicia - che urlò arrabbiata qualcosa agli
altri e ne spense i risolini.
Due buttarono le
cicche.
Concitati.
Spaventati.
Il loro inglese di
convenienza si fece stretto ed incomprensibile, aspro, un’altra lingua. La
ragazza scamiciata gridò qualcosa al telefono.
«Ma che succede?»,
Miriam rabbrividì.
«Sono cose di
studenti», disse Marcos, «dovremmo andare, ché…»
Lo azzittì un
fischio, li accecò un faro, un motore li assordò. Un’oblunga forma nera fendé
l’acqua ribollente. Dai due lati della riva venne qualcuno correndo: era un
gruppo d’ombre scure, tintinnava di metallo, di stivali, fibbie, caschi.
Sciabolava raggi bianchi. Le sirene e i trasmittenti. Tre battelli nel canale.
Dalla Caˈ Foscari
eruppe urlando una folla di studenti, professori, il personale.
Una ragazza con un
coltello.
La luna livida
bruciava curva su una lama troppo lunga. Un terrore e una ferocia le
impallidivano il volto bruno, velato, le sbiancavano le labbra, piccole e
truccate, e le spegnevano negli occhi d’onice la luce vivida dei ventun’anni.
I ragazzi sulla
soglia la scansarono atterriti, e la folla si buttò strillando «aiuto!» contro
gli agenti di polizia.
«Fate largo!
Largo, largo!»
«Vieni, Miriam!»,
provò a spingerla Marcos.
La ragazza col
coltello fu più decisa e veloce.
E lei aveva un
naso decisamente da ebrea.
Le corse contro.
Le corse addosso
Puntò il ferro
adunco e freddo.
Era vicina: così
vicina che lei poteva leggerle le labbra pallide e delicate, poté
vederle tremare i denti. Le parole in mezzo ai denti. Doveva essere una
preghiera. Doveva essere arabo. Doveva essere un imbecille stupido
slogan commerciale.
Miriam scartò a
sinistra a un respiro dall’affondo. Il pugnale tagliò la cinta del suo cappotto
di lana azzurra. Recise il suo pullover, gli intimi, la seta. I secoli e la
brezza le accarezzarono la pelle nuda.
Le stelle
illuminarono il suo ventre tondo e blu.
La ragazza pianse
e rise in ginocchio sulla pietra, gettò il coltello sul lastricato, crollò col
viso nelle pozzanghere, abbracciata dai sussurri della placida marea. Miriam la
aiutò ad alzarsi in piedi nella notte, le pulì il viso, la strinse a sé.
Le disse in arabo
che andava bene.
Che sarebbe andata
bene.
«… Sei salva, Capo», tremava Marcus. Liquefatto di
sudore. E fissò incredulo il suo pancione cui non doveva mancare tanto; «…
non mi ero accorto, non lo sapevo, non potevo immaginare… sei davvero…»
«Sì, lo sono.»
Si segnò.
Guardava il cielo, guardava il mare, guardava lei. E mordeva una domanda che
non aveva proprio il coraggio di porle.
«Dàì, chiedilo»,
Miriam l’alleviò.
«Chi è stato,
Capo? Voglio dire…»
«Io da sempre,
Marcus. Sola.»
Attorno a loro
schiumò la folla, si serrarono gli agenti: non si sarebbero avvicinati, finché
lei non glielo avesse consentito. E la ragazza doveva piangere, prima.
Respirare.
Le prestò il
cappotto azzurro:
«Per tutto il
tempo che c’è bisogno.»
Le circondava una
gloria angelica, sottile e spaventosa di piume iridescenti e corone
fiammeggianti, di labari d’aurora e di terse trombe d’oro.
Nello stile di
Giovanni, questa volta.
Perché no?
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