Recensione
dal blog "Cronache
Bizantine"
M'rara, di
Alessandro Forlani (Collana Robotica.it)
Quattordicesimo
anno fascista. Mentre gli ingranaggi del mondo si preparano a
masticare milioni di uomini nell'olocausto della seconda guerra
mondiale, il regime continua l'opera di bonifica
delle paludi, per aumentare la
coltivazione del grano, com'è desiderio del Duce. Nello scavo
tra San Marco e il Lido, gli operai rinvengono un gigantesco
monolite assiso nella mota, che
funge da pinnacolo di un'anticamera sotterranea. Il professor Mario
Luna, archeologo di
Stato, riceve una lettera d'aiuto d'un vecchio amico, Alberto: il
monolite sembra antico, addirittura proto-etrusco. Sul posto giÃ
investiga un veterano degli scavi in Libia, l'ingegnere
De Marinis. Mentre Luna esamina la
scoperta, strane cose iniziano a succedere: l'assicella graduata
impazzisce sui centimetri di larghezza e lunghezza, angosciosi incubi
perseguitano gli uomini e gli operai superstiziosi si rifiutano di
scendere giù nel sepolcro, sotto l'architrave... Dopo
essersi fatto coraggio, Luna rinviene nella camera sotterranea
migliaia di frammenti di specchi infranti,
cocci di un tenebroso ex
voto.
Uno studio dei reperti rivela un nome ricorrente tra i secoli, dai
goti, ai bizantini, ai romani, all'homo paleolitico dell'età della
Pietra. E' m'rara,
un acronimo impronunciabile,
un qualcosa che non è né mostro, né maledizione.
Dove m'rara compare,
piccole figure stilizzate si contorcono, distolgono terrorizzate
lo sguardo. La faccia di
queste silhouette appare scavata, erosa via...
La
produzione di Lovecraft si divide in fasi. Faccio qui riferimento
alla suddivisione che pratica S. T.
Joshi nella sua gargantuesca
biografia, che è poi la suddivisione adottata dalla gran parte delle
antologie che raccolgano il maestro di Providence. Nelle ultime opere
di H.P. la spinta fantascientifica è preponderante. Lo sforzo
di verosimiglianza che
aveva da sempre spinto Lovecraft è qui particolarmente pronunciato,
esplicandosi nell'incredibile (specie per l'epoca) lavoro di
worldbuilding delle Montagne della Follia o dell'Ombra venuta dal
tempo.
Nel
pantheon degli omaggi lovecraftiani, M'rara si
colloca con fierezza nel meglio della produzione dell'orrore puro di
Lovecraft. Sia nello stile e in certe scelte d'incipit, potremmo
benissimo inserire questa novella negli anni tra il 1917 e il 1926,
in cui vennero scritte perle come La
Tomba, o La
deposizione di Randolph Carter. Il
motore del racconto è orrorifico
al cento per cento, mirando con
assoluta forza kamikaze a inquietare il lettore, a trarne sofisticate
sensazioni di nichilismo cosmico.
Beninteso, queste sensazioni abbondano anche negli ultimi lavori. Ma
nel campo della narrativa breve di quel periodo non sono “levigati”
da qualsiasi descrizione oggettiva, spiegazione razionale balbettata
da corpi in fin di vita, o diluita da rivelazioni di carattere
fanta-antropologico. E' orrore puro, spinto dall'acceleratore della
prima persona di un racconto breve.
Naturalmente, M'rara è
una novella, non un romanzo. Ed è in assoluta prima persona,
dall'inizio alla fine. Che questa prima persona rimanga “persona”
man mano che l'orrore pre-etrusco avanza... beh, questo è un
giudizio che spetta al lettore.
Non
sono un filologo lovecraftiano e dunque dovete prendere queste
osservazioni cum
grano salis.
Tuttavia,
sarebbe davvero facile confondere l'incipit di
qualsiasi dei primi
due capitoli della
novella, per un racconto lovecraftiano. Si consideri, innanzitutto:
Gli
agenti lo invitarono a entrare nell'auto.- Due parole con il
collega – supplicò De Marinis – se ho ragione, non ci vedremo
per molto tempo –Si accostò, mi sorrise e mi abbracciò con
l'allegrezza che in quell'ultima settimana certe orribili circostanze
soffocarono a entrambi: ma i capelli gli restavano, da ieri notte e
per sempre, ingrigiti tutto a un tratto su una fronte di trentenne;
gli tremavano le ginocchia, le mani, ed era livido e rauco.
E'
il 30 di novembre del 1935, anno XIV del calendario fascista. Ora
sono alieno tutta un'era geologica dal mondo che credete di
conoscere: eppure son trascorsi sette giorni, soltanto! Da che
viaggiavo sulla linea adriatica con l'espresso che da Bologna mi
portò fino a Fermo.
Nel
primo caso, tratto dal cap. 1, disponiamo d'un classico
strumento narrativo: l'amico che
implora di non recarci in quel dungeon/hotel/castello/stanza
maledetta. Appare orribilmente trasformato e per quel meccanismo
perverso che conosciamo tanto bene, la sua supplica ci spinge ancora
di più a investigare. Notiamo l'uso dell'esclamativo a
termine del primo capitolo, così come nell'incipit
del secondo (soltanto! Da che...)
usato come occasionale intercalare anche da Lovecraft, generando così
l'effetto di un lamento, quasi il guaito di
animale intellettuale. L'era geologica,
inoltre, aggiunge una dimensione temporale, introducendo il concetto
di un tempo ultraterreno, molto al di là dei nostri limiti. Eoni,
non secoli.
Per
meglio chiare la somiglianza, cito l'incipit del racconto di
Lovecraft Da altrove (1920, From
Beyond)
Orribile,
al di là di ogni immaginazione, era il mutamento verificatosi nel
mio migliore amico, Crawford Tillinghast. Non lo avevo più rivisto
dal giorno in cui, due mesi e mezzo or sono, mi aveva rivelato a che
cosa mirassero le sue ricerche fisiche e metafisiche e, in risposta
alle mie timide e quasi spaventate rimostranze, mi aveva scacciato
dal suo laboratorio e dalla sua abitazione in preda ad una esplosione
d'ira incontenibile. (…)Non è certo piacevole vedere un uomo
robusto come lui diventare magro d'improvviso, ed ancor peggiore è
lo spettacolo di una pelle flaccida ingiallita e ingrigita, di occhi
incavati, cerchiati e accesi da una luce inquietante, di una fronte
venata e raggrinzita, e di mani tremanti scosse da involontarie
contrazioni.
Come
Mario Luna constata stupefatto l'invecchiamento
precoce di De Marinis, così il
narratore di From Beyond descrive
con dolorosa accuratezza di dettagli la metamorfosi di Crawford
Tillingast.
L'uso
di questo genere d'incipit, alternato a descrizioni nichiliste del
mondo destinato alla distruzione totale, è tipicamente
lovecraftiano. Per averlo così
fedelmente “mimato” occorre uno studio impressionante, lontano
(beyond? Ahah!) dalla trita e ritrita imitazione dei miti di Cthulhu.
Segue
un altro esempio, collegato stavolta all'esordio del secondo
capitolo di M'rara. Il
riferimento è al racconto Il
Tempio (The
Temple,
1920). Ancora una volta Forlani imita con efficacia la descrizione
particolareggiata di geografia&date qui elencate da H.P.
Pedissequamente:
Il
giorno 20 agosto 1917, io, Karl Heinrich, conte di
Altberg-Ehrenstein, comandante in seconda della Marina Imperiale
Germanica e responsabile del sottomarino U-29, affido questa
bottiglia e il documento in essa contenuto all'oceano Atlantico, in
un punto del quale ignoro l'esatta posizione ma che presumo sia di 20
gradi di latitudine Nord e 35 gradi di longitudine Ovest. Qui la mia
unità giace in avaria sul fondo dell'oceano.
La
ripresa fedele d'un certo stile mi appare evidente. Questo
d'altronde, viene anche bene esemplificato dall'uso del corsivo,
applicato con giusta cura per dare una pennellata
aliena a parole altrimenti
innocue.
Un
altro luogo comune di Lovecraft, che può venir conosciuto da chi
H.P. lo
legge per davvero,
senza aggregarsi alle orde di lettori che condividono Cthulhu vs
Godzilla, è lo strambo senso delle misure. Spesso può succedere che
gli strumenti
scientifici non
funzionino, o diano risultati fuorvianti e/o impossibili. Un classico
in tal senso è l'angolo-che-non-c'è nel racconto La casa delle streghe. Geometrie
non euclidee, o generiche “misurazioni possibili” si contano a
iosa nella produzione di serie b, sia di fantascienza che
d'horror. M'rara non
fa eccezione:
D'improvviso
riluttante e sudato, coi pensieri incastrati tra i denti, l'amico
inghiottì; si tolse dalle tasche un'assicella graduata:
-
Quant'è grande, secondo te? -- Un metro e mezzo sul lato corto, due
metri e mezzo sul lato lungo. –
-
Misurala – mi prestò l'assicella. Sbagliai qualche centimetro in
eccesso sui lati. – E fissala, adesso: per alcuni secondi. –
-
E allora, che succede? –
Ritornò,
con lo strumento, sul perimetro della lastra: a occhio era identico,
ma mancavano centimetri in altezza e lunghezza.
Vacillai
di vertigine: gli alberi, gli sterpi, la fossa e le pozzanghere mi
apparirono, in quell'istante, fuori posto e ribaltati, e il terreno
mi mancò sotto i piedi. Mi sostenni al granito, inspirai
profondamente; resistetti al calore e i vapori malarici, cui
attribuii quell'improvviso malessere.
-
Deve essere un'illusione: come quelle di certi quadri ed edifici
barocchi. –
-
L'occhio umano può essere ingannato: ma un metro da falegname...
riprovaci cento volte: io ci ho perduto tutt'un'intera giornata. –
In
particolare, la scenetta mi ha sovvenuto il paragone con Xenos,
di Dan Abnett (per
restare nella fantascienza derivativa, d'intrattenimento). Abnett
compie una buona descrizione dell'incommensurabile, chiaramente
ispirato a Lovecraft:
-
Quanto è grande? – domandai a Midas.
-
Cosa? –
-
Questo... posto –
-
Non saprei – rispose indicando gli strumenti. – Cento,
duecento... trecento chilometri. Forse migliaia. –
-
Non puoi essere più preciso? –
Mi
rivolse uno sorriso preoccupato.
-
Gli strumenti dicono che non ha confini, il che è impossibile,
quindi suppongo che siano fuori uso e non posso fidarmi di loro. –
-
Allora come fai a mantenere la rotta? –
-
Con gli occhi... o con il fondoschiena, dipende da cosa trovi più
rassicurante. –
Dan
Abnett, che pure ammiro molto, è solo un abile
mestierante. Xenos è
un romanzo ambientato nel mondo di Warhammer 40000, che è tanto più
interessante quanto più si allontana dal backgroud tradizionale.
Eppure, pur essendo fantascienza d'azione “bassa”
incorpora notevoli elementi lovecraftiani. E come in Xenos, così
in tanta narrativa
d'intrattenimento potremmo
rivenire influenze nettamente cthuliane.
La
narrativa breve lovecraftiana difficilmente funzionerebbe altrettanto
bene se trasportata nel ventunesimo secolo.
Occorre aggiornarla radicalmente, installare un'upgrade che
terrorizzi a nuovo il lettore. E' quanto gli autori
di pastiche lovecraftiani
proprio non comprendono, limitandosi a un'avvilente riproposizione di
tropos ormai consunti.
M'rara
tuttavia aggira questo dilemma, restando semplicemente ancorata
agli anni trenta.
Di conseguenza, le inquietudini filosofiche di H.P. restano attuali,
senza doverle traslare al presente.
Mario
Luna, ad esempio, è una versione italiana del gentleman
puritano inglese, la cui professione
di archeologo sottintende
bene l'amore viscerale per il passato. Inoltre il cast scelto da
Forlani riflette una suddivisione tradizionale: pochi
uomini di scienza, pronti a dar di
matto davanti all'inspiegabile, attorniati dalla solita plebe
superstiziosa, da un'amministrazione
incompetente e dall'assenza di personaggi femminili.
L'ambientazione
fascista, anziché naufragare negli
usuali nostalgismi, si pone fin dalle prime righe
apertamente ostile a
Mario Luna e De Marinis: il regime vuole grano, non cultura. Il
monolite e quanto contiene vanno spianati dai bulldozer, cancellati
dalla faccia della Terra. L'archeologia interessa solo quando
legittima la dittatura, quand'è limitata all'impero romano: nel nome
di alcuni secoli, se ne cancellano altri.
Volendo,
si possono rintracciare dei riferimenti al presente in alcuni
dialoghi, alcune punzecchiature.
Ma questi meta-riferimenti li lascio volentieri ad altri. Quello che
mi preme sottolineare, è l'ostilità preponderante di
un'ambientazione storica bruta e
ignorante, che martella un Mario Luna
già stranito dall'orrore nel sepolcro.
Particolarmente
pregnante a questo proposito il seguente dialogo:
-
L'essenziale è la terra da coltivare! –
-
Sono certo che a Roma non la pensino così – insinuò De Marinis –
esporrò a chi di dovere. -
Interessano i risultati, il consenso del popolo: che è un popolo
d'operai, di contadini, di figli. Ci ponete un'alternativa
assolutamente ridicola: granoturco o cultura? E noi abbiamo scelto
che cosa?! Voi ridurrete questo bivacco di moscerini a un agro gaio e
verde: è inteso, Ingegnere?! E farete il più presto! Voi,
professore, non vi immischiate di queste cose. -
L'inaspettata
moda di Lovecraft che imperversa ormai da (quasi) un decennio ha
superato diverse tappe importanti: dal semplice ritorno in forze
dell'autore in libreria, a nuovi&necessari chiarimenti
saggistici, ai primi dichiarati omaggi divenuti letture mainstream.
Oggigiorno, nell'ambito geek se dici “Cthulhu!” tutti riconoscono
il riferimento, o per dirla all'inglese “get
the joke”.
Tuttavia, per quanto la mitopoiesi degli Antichi sia importante,
occorre non smarrire l'importante nozione che H.P. Lovecraft è molto
più di questo. E' un filosofo che scrisse acuti testi di
analisi filosofico-letteraria, è un grafomane con alle spalle
centinaia di migliaia di lettere, è uno scrittore
dell'orrore completo,
con una produzione di tutto rispetto ben prima che giungessero
tentacoli e divinità dall'oltrespazio. M'rara,
di Alessandro Forlani è
un innegabile omaggio lovecraftiano, ma nel contempo si discosta
sdegnato dall'usare semplicemente la mostrologia già creata dal
Solitario di Providence. Al contrario, pur nella stretta aderenza del
canone, segue una
sua strada con
molta più efficacia. Oltre che una lettura avvincente, M'rara
dovrebbe illuminare la via per future opere di altri autori.
Altrimenti, il passo successivo alla popolarità di un'opera è la
sua trasformazione in commedia,
aspetto che con i Miti di Cthulhu sta già avvenendo.
Per
evitare ciò, dobbiamo scoprire tutto Lovecraft,
senza limiti di sorta. Diversificazione,
anche nell'orrore.
Fonti:
M'rara,
di Alessandro Forlani
Nel
campo dei giochi da tavolo, il gustoso Kingsport
Festival, le
cui descrizioni sono opera di Forlani, vedrà un'espansione a tema M'rara
Le
citazioni dei racconti di Lovecraft sono tratte
dall'edizione Newton&Compton (Grandi
Tascabili Economici). So che non è il massimo, ma l'avevo comprata a
quattordici anni, quando le preoccupazioni filologiche ancora non mi
attanagliavano!
Xenos, di
Dan Abnett (traduzione Hobby&Work).