Negli isterici ed elettrici giorni in
cui si giunge a compimento di un romanzo, o insomma quando ti mancano tre
capitoli, il sano ed opportuno dubbio di avere espresso il tuo tema, o i temi, in modo chiaro ed
interessante, ti angoscia fin l’insonnia e non riesci a venirne a capo.
Non vivo nel XVIII secolo, non credo che
un autore possa far la morale; specie nel mio caso un autore piccolo della
piccola provincia della piccola Italia: che, a doler e gran dispitto del
protestare i musei, e il patrimonio culturale e blabla, se uno tsunami di idee ci
cancellasse dai mappamondi il globo culturalterracqueo neppure se ne
accorgerebbe.
È umano però, purtroppo, che ci siano
dei concetti ed argomenti che ci interessino e non riusciamo a tacere, e nel
caso di uno scrittore gli costringano la penna in mano.
Il tema di Eleanor Cole - il primo
romanzo con cui, con utopica fiducia, ho guardato alle stelle benché non
abitate di cose belle - è riassunto
in questa frase di Melville ricordatami da un’amica:
“Gli
uomini possono sembrare detestabili presi in società commerciali e in nazioni,
possono esserci tra loro dei furfanti, degli stupidi e degli assassini, possono
avere facce vili e sparute, ma l'uomo, nell'ideale, è così nobile e così
splendido, è una creatura così grande e radiosa, che sopra ogni sua macchia d'ignominia
tutti i compagni dovrebbero correre a gettare i loro mantelli più
preziosi."
Il mio corollario, che ho cercato di
esprimere nei 24 capitoli, i 5 Intervalli, il Prologo e l’Epilogo, è che quando
la meta è così alta (il Futuro e l’Universo per me sono sinonimi), e per esteso
quando uno Scopo è maiuscolo, non si può essere Uomini, nella migliore
accezione del termine, soltanto a metà : dalla Via Lattea alla Vi(t)a di Tutti i
Giorni. Ci si aggiunge altrimenti agli Ammit, né vivi né morti: che ho voluto
fossero ignavi danteschi vestiti di tute e di scafandri spaziali; coloni
abbrutiti di un pianeta di sabbia, d’industrie e raffinerie, dal nome del
mostro egizio che Anubi nutriva d’anime.
In un romanzo di fantascienza barocca si
possono innalzare rutilanti quinte per mostrare questo tema al Lettore: ho
usato città grigie di cemento e d’acciaio, un popolo che veste in grigio, che
idolatra i rottami; ho sparso tutto il romanzo di cenere. Ho descritto una Corruzione
capillare e fine a sé stessa di fantocci-cadavere e me-ne-frego della realtà .
Ho dipinto per contraltare una futura civiltà del glamour che, terrorizzata dal Vuoto, ha scelto di ignorarlo e colmarlo
con il Vuoto.
Fatto questo mi chiedo: il Lettore vedrÃ
le stesse cose, con i medesimi occhi? Se la risposta è sì, come autore sono
fottuto: significa che sono stato didascalico
(che, nei salotti letterari, è peggio che dir “stronzo”; o “una merda di
persona”). Se lo poteva permettere Orson Welles quando, nel 1937, mise in scena
un Giulio
Cesare di Shakespeare che era
Benito Mussolini; ormai l’allegoria non impressiona nessuno. Se invece la
risposta è negativa cado in trappola nello spiegone
o pippone.
Dicesi spiegone:
Avete presente quei telefilm che, prima delle nuove
puntate, vi fanno un breve riassunto delle puntate precedenti? Quella specie di
“ tutto quello che dovete sapere per capire quello che verrà d’ora in poi
“ che serve a far sentire un po’ meno spaesati quelli che in ritardo si
affacciano ad una serie già iniziata? Ecco, quello è uno spiegone. E mentre una dose normale di prosopopea per la maggior
parte degli argomenti è sufficiente, a volte ci vuole qualcosa di più lungo,
massiccio, ed esaustivo, per riuscire a sentirsi un po’ meno spaesati in un
mondo che si fa sempre più complicato.
(tratto dal blog Prosopopea: grazie, chiunque sia il blogger, per avermi risparmiato
la fatica di… spiegare!). Il pippone
romanesco è più o meno l’equivalente; affidato ad un monologo, o confronto fra
personaggi, che d’improvviso diventano più di marmo che Amleto (ma l’ “Essere o
non essere” ‘sticazzi e zitti tutti, eh?!).
La trappola è letale perché tu, come
autore, soprattutto autoruncolo e scribacchino, quando scivoli su un pippone non
t’accorgi di sbagliare: piuttosto t’illudi che la tua prosa per quel paragrafo sia
salita di livello; hai detto la tua, l’hai detta chiara al Mondo. E il Mondo,
nel frattempo, parafrasando Schiler, si è capovolto… dalla noia.
In Eleanor Cole, me ne accorgo solo ora
a tre capitoli dalla fine, ho infilato ben cinque-dico-cinque pipponi! Con l’aggravante
che si concentrano nel finale!...
“Tagliali!”, imporrà lo Sbadigliante
Lettore: dura sex(ione di editing), sed sex(ione di editing). C’è però che
senza quei pipponi ho l’orrore che i Personaggi, il Lettore e me stesso dal
Viaggio dell’Eroe non abbiano imparato; siano stati solo figure che si muovevano
su un fondale motivate da un inseguimento, un’esplosione, una battuta efficace.
Ribadisco: poiché con i miei racconti non
auspico ad insegnare (quello lo
faccio già in Accademia), neppure m’interessa un apprendere così profondo. Tuttavia un onesto intrattenere e narrare (ma
soprattutto l’adattamento cinematografico con Lily Cole protagonista nei panni di
Eleanor; Bianca Balti - Delfina; Deepika Padukone nella parte dell’ufficiale;
Stephen Fry – Matsumoto; Michael Fassbender come Marchese di Farben): e, a
differenza di quello che pare non sappiano più fare gli sceneggiatori di Hollywood,
occorre ispirare, Tirare Le Fila…
Mah, è sempre la solita vecchia storia fra "show don't tell" e narratore onnisciente e antiquato... credo che ognuno abbia la propria scrittura, no?
RispondiEliminaAnche meno di questo: sono solo pippe mie, passeranno... ;-)
EliminaSe ti sembra di essere riuscito a fare tutto quello che volevi fare, proprio come lo volevi fare, allora il resto non conta. Ma se anche tu hai dei dubbi, allora vuol dire che ci devi lavorare finché non ti soddisferà .
RispondiEliminaIn NULLA della mia vita mi è mai sembrato "di essere riuscito a fare tutto quello che volevo fare, proprio come lo volevo fare", e di dubbi ci vivo! Sono senza speranza :-D
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