Due dediche letterarie consecutive! Stamane Mauro Logo ha pubblicato sulla mia bacheca questa foto del Palazzo della Civiltà Italiana al quartiere EUR di Roma, con tanto di commento di quelli che manderebbero in brodo di giuggiole qualsiasi aspirante scrittore: "sai che sei un autore capace di lasciare una certa impronta, quando qualcuno vede una roba speciale e la associa istintivamente a te. Oggi ho visto questa e ho deciso che dovrebbe essere un racconto di Forlani."
Ed ecco subito un racconto per Mauro (anche questo, come quello sul museo egizio di alcuni giorni fa, suggerito da fatti e minacce incombenti). Buona lettura.
I quattro uomini scaricarono il frigorifero dall'autocarro, col fazzoletto premuto ai labbri ne controllarono il contenuto: l'incerata di una tenda - grigioverde militare - luccicò nel plenilunio di una poltiglia di umori e brina:
«Cristoiddio com'è ridotto! Non è possibile che quel santone...»
«Dobbiamo credere, ed obbedire. E in quanto al mago... sa far di peggio.»
«Ma la ragazza è restata appesa.»
«C'era posto per lui solo.»
Amedeo lasciò il veicolo incustodito lì sul Concordia, le portiere ed il cassone spalancati ai ladri d'auto.
«Ce lo fottono, sei scemo?»
«Non farebbe un altro metro, cade a pezzi, non vedete? E' già un miracolo che da Milano sia arrivato fino qui.»
E bestemmiarono, col frigo in spalla, fino al portico marmoreo: era impossibile portarlo in cima. Trascinarono la salma, per le scale del Palazzo, fino al salone del sesto piano dove attendeva quel tizio strano.
«Mi dà i brividi.»
«Coraggio.»
«Camerati, non è umano.»
Gustavo Rol li fissò in silenzio. Gli squadristi, impalliditi, si sentirono trafitti; un ago gelido epperò infuocato trapassò le loro menti.
«Il suo cadavere va sotto l'arco»: indicò loro quei finestroni.
«Lo avete udito... Non ha parlato!...»
Obbedirono al comando.
Amedeo si sporse fuori da quel balcone vertiginoso: vide la scritta sulla parete; SANTI, EROI, NAVIGATORI e POETI, ARTISTI...
«... e TRASMIGRATORI», pensava spesso senza comprenderne il significato
«Era un segreto fra il Duce e me», lo gelò Gustavo Rol: quella voce di arpe e liuti ma che suonavano da un abisso, «Era tutto predisposto... casomai fosse accaduto. Mussolini è stato ucciso, ma l'idea vivrà per sempre.»
«Certo, sì!», si inorgoglirono i camerati.
«Non sarà come credete.»
Il sensitivo posò le mani sul cranio nudo del dittatore, crivellato di pallottole e segnato dalle corde. Il corpo morto tremò convulso, arse bruciato da fiamme nere, gli uscì di bocca un vapore fosco, la nube fetida suppurò: soffocò la intera sala, fluttuò fuori il finestrone, corse nel vento e calò su Roma sulle macerie della catastrofe. Sui detriti ed i crateri delle bombe americane.
I filamenti dell'ectoplasma penetrarono le case, si insinuarono nel suolo e infettarono i giardini. Avvelenarono persone e pietre, l'aria, l'acqua, le coscienze del Paese. E Amedeo li guardò strisciare nel chiarore della luna ben oltre il centro, la capitale, e ancora crescere all'orizzonte... e sentì che un incantesimo, quella feroce fascinazione, si sarebbe, nei decenni, estesa al ventre di tutta Italia.
«Hai capito, camerata?», sghignazzò Gustavo Rol.
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