Stamane alle 11.00 mi sono connesso a Facebook, e ho trovato un messaggio dell'amico Jacopo Berti che mi invitava a scrivere un racconto "dei miei" sull'episodio "Fascisti in Egitto". Ho scoperto subito dopo, su segnalazione di Francesco Gennari, che la redazione di Lercio.it aveva avuto praticamente la stessa idea, ma... era un'occasione troppo divertente per rinunciare! Buona lettura!
Le
squadracce si adunarono al caffè di via Lagrange.
Mentre
i capi si invigorivano di uno schietto bicerin, e i camerati
influencer, SEO, gli opinion leader dei socialnetwork pubblicavano su
Facebook le istantanee dell'azione, altri uscivano, solenni, dalla
chiesa prospiciente: dove il manipolo aveva chiesto, ed ottenuto di
benedire, i neri labari, i gagliardetti, le pistole e i manganelli.
Lettere bianche di un altro secolo su uno striscione di pvc, che
gridavano minacce in impeccabile italiano.
La
nostra lingua, perlamadonna!
E un
camerata si prese in spalla il cartello ARABBI ANDATE IN AFRICA;
l'altro innalzò il motto LA CVLTVRA AGLI ITAGLIANI; ostentarono gli
slogan NO IMIGRATI NEL MVSEO, e si avviarono, in colonna, lungo
l'attonita via Accademia.
I
passanti ed i turisti che grondavano sudore, in canottiera t-shirt e
sandali nell'agosto torinese, si impietosirono di quei meschini in
giubbotto scuro stivali e jeans: sul cui capo luccicante,
disciplinato dal parrucchiere, sulle cui rune e uncinate nordiche,
sui littori del Ventennio, infieriva un sole estivo cocentemente
mediterraneo.
Trascinarono
i bastoni e le catene sui sampietrini.
Si
fermarono, «... e attenti!»,
fra le statue di Sekhmet. Salutarono romani. Il più anziano
srotolò le quattro pagine di proclama che spiegava ai cittadini le
ragioni dell'assalto, la condanna al traditore e sovversivo Christian
Greco. Sparsero il suolo di volantini.
Una
bambina raccolse un foglio, restò a leggerlo perplessa:
«Mamma»,
disse, mentre una donna la allontanava, «qui è sbagliato:
"comunista"; non si scrive con la q!»
Il
Direttore guardò annoiato dalla finestra del proprio studio,
vide in strada, giù all'ingresso, quel manipolo di eroi. Era un anno
e cinque mesi che si accanivano a quegli assalti: la Meloni
avvelenata, alle elezioni del marzo scorso, vinto il cimento ed
ascesa a premier volle vendetta per quello smacco; quella filza di
sciocchezze su Islam, storia e religione.
«Prendo
il libro, direttore?»,
domandò la segretaria.
«Ci
risiamo. Grazie, Miriam.»
Christian
Greco sospirò per quel noioso contrattempo: non credeva che i
colleghi, tanto a Londra quanto al Cairo, fossero spesso, altrettanto
spesso, infastiditi da deficienti. Zahi Hawass gli raccontava di
frequenti attacchi Isis... finché lui, esasperato, chiamò Ammit
dal Duat.
Sempre
iroso, il vecchio Zahi...
Prese
l'ankh, la tiara e il sistro dalla teca nel suo studio, e indossò
quei paramenti ricamati di ieratici. La segretaria gli portò i
rotoli di antico e logoro papiro sacro, serrò gli scuri, tirò le
tende e accese ceri di grasso umano. Il pc, la scrivania, poltrone e
mobili e libri e poster si dissolsero nel fumo di turiboli e
bracieri.
«Ãˆ
un nuovo incenso?»
«Mi
son permessa.»
«Ãˆ
delizioso», lui le sorrise.
Miriam
si arrossì.
Christian
Greco srotolò la lunga pagina geroglifica, e intonò le prime
sillabe dei Sarcofagi
e I Due Cammini.
Dai recessi dell'edificio, nei magazzini, nei sotterranei, echeggiò
un lugubre coro e un sinistro scricchiolio; e il tonfo sordo di legna
e pietre che rotolavano sul pavimento. Scalpiccii, raschi metallici e
un vibrare di budella.
Gli
squadristi mulinarono i bastoni ed i nunchaku, ed irruppero,
gridando, nei saloni del museo. Il portinaio guardò con pena quella
trentina di poverini che correvano, entusiasti, a un abisso di terrore.
«Che
cos'è questo fetore?!», un caposquadra fermò la banda.
«Sono
negri!»
«Sono
gli arabi!»
«No...
guardate!»: i camerati si impallidirono.
Di
fronte a loro serrava i ranghi una legione di cadaveri, con kopesh
crudeli e curvi, scudi ovali e corte lance. Tra le fila avanzò un
carro d'avorio ed oro, di lapislazzuli, ch'era trainato da due
carcami dall'orribile nitrito. Sopra il carro un altro spettro, dalla
maschera dorata, che incoccò l'arco composito con le mani
ischeletrite.
Trafisse
il petto di uno squadrista: chi aveva un'arma sparò impazzito.
Ma
i proiettili si spensero in quelle carni annerite e morte, non cadde
a terra nessun guerriero. La legione, con un canto, spianò le lance
e strisciò all'assalto. Camminarono sui corpi dei primi stupidi che
impalarono.
«Sono...
zombi! Sono zombi!», piagnucolarono quei ragazzini.
Christian
Greco si affacciò alla balaustra del salone, e spiegò – con calma
olimpica, il tono mite e gentile e colto:
«...
che gli zombi - nzumbe,
in bantu - sono propri del vudù: la religione diffusa a Haiti.
Questo invece è il museo egizio di Torino. Non serve a nulla
sparargli in testa, come al cinema o in tv: queste», mostrò il
libro, con gli incantesimi per controllarle, «sono mummie. Se
studiaste lo sapreste.»
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