Un romanzo sta in bilico fra visioni e
contenuti.
Scrivere racconti “a
tesi” è agile e rischioso. Di solito si procede così: un'idea
fulminante, originale, interessante; un tema a cui si tiene, e si
intende proporre al lettore, trova terreno fertile nello spazio di
poche pagine: sufficienti a descrivere, nei termini essenziali, il
contesto più efficace e pertinente la tesi.
Nel bellissimo Chissà
come si divertivano, Asimov ci fa riflettere sulla bellezza
dell'andare a scuola nell'intervallo di qualche ora trascorsa in
compagnia di due bimbi del futuro, in cui le macchine sostituiscono
gli insegnati e l'apprendere è tetro e solitario; Per questa
volta no, di Brown, sospende il destino della Terra e l'Umanità
nel tempo di un breve volo ricognitivo di alieni malvagi, schiavisti
ed evoluti. Ad Arona basta un tentacolo di 35 chilometri per farci
rabbrividire e capovolgere la realtà nell'agghiacciante contributo a
Queen Anne's Resurrection.
Il pericolo è che la
tesi, nello spazio delle poche cartelle, susciti l'impressione di un
teorema o parabola; l'imbarazzante “morale della favola” o “qui
l'autore sta a indicare che”. Di solito è un difetto dei
dilettanti, ma anche maestri come 'O Connor (Il raccontatore; Il
mio complesso di Edipo e altri racconti) a volte ci cascano.
Ed è un errore che personalmente commetto per enunciati: ovvero faccio esprimere le tesi a questo o quel personaggio nel corso di un dialogo; la scena dell'azione ne mostra le conseguenze. Per esempio: nel recente Salto in orbita, che sarà pubblicato a dicembre su "Fantascienza.com", l'insufficienza dell'Umanità alle stelle (una tesi che mi preme molto, cui ritorno in diversi racconti) è spiegata al protagonista da un rabbino-ingegnere genetico, con l'effetto di una "tirata d'orecchi" o lezione talmuldica. Il dialogo è molto utile, tecnicamente parlando: purtroppo è l'espediente più ovvio. Lo scenario della centrale fotovoltaica, e gli operai con tutto il genere umano in delirio per la finale di uno sport "impossibile", mostrano gli effetti di quest'idea sulle masse.
Prometto di migliorare.
Ed è un errore che personalmente commetto per enunciati: ovvero faccio esprimere le tesi a questo o quel personaggio nel corso di un dialogo; la scena dell'azione ne mostra le conseguenze. Per esempio: nel recente Salto in orbita, che sarà pubblicato a dicembre su "Fantascienza.com", l'insufficienza dell'Umanità alle stelle (una tesi che mi preme molto, cui ritorno in diversi racconti) è spiegata al protagonista da un rabbino-ingegnere genetico, con l'effetto di una "tirata d'orecchi" o lezione talmuldica. Il dialogo è molto utile, tecnicamente parlando: purtroppo è l'espediente più ovvio. Lo scenario della centrale fotovoltaica, e gli operai con tutto il genere umano in delirio per la finale di uno sport "impossibile", mostrano gli effetti di quest'idea sulle masse.
Prometto di migliorare.
Il romanzo può creare
l'opposta difficoltà. L'estensione ci permette infatti di mostrare
nei dettagli l'universo diegetico: ampliare gli orizzonti di migliaia
di miglia e raccontare di episodi e di vite che si svolgono
nell'intervallo di mesi e di anni. Invidio, e guardo con rancorosa
impotenza ai Classici dell'800 che narravano di intere esistenze; e
se pare un'impresa eccezionale compiere in 80 giorni il
periplo del pianeta... beh, avete mai pensato quale eroico cimento è
completarlo in 300 cartelle?! Provateci, maledetti scribacchini!
Ma, con tutto l'universo
a vostra disposizione, scoprirete che i “temi forti”, le idee, le
tesi che vi premono rischiano in tanto spazio di perdere di
efficacia. Samuel Beckett lo ha capito inscenando i Dramaticules
che, se due labbra sospese nel vuoto ci inquietano negando sé
stesse, una testa nel buio, che sospira del suo passato, nella stessa
serata ci colpisce un po' meno...
Nel romanzo il sense
of wonder tende a prenderci la mano; scrivendolo o leggendolo
rincorriamo meraviglie. Può accadere che riponiamo il volume, o
scriviamo la parola FINE sull'ultima cartella, con la triste
sensazione di un confronto mancato, di non avere dialogato con il
lettore o sé stessi.
Proposui
in mente mea quaerere et investigare,
ma... Sacrosanto, se lo scopo è intrattenere soltanto: siede pronti
a sedervi al pc e inventare cent'altre pagine di astronavi ed
androidi, galassie che collassano e... un cane, raccomandavano i
drammaturghi nel XVI secolo.
Se
invece la coscienza vi impone più spessore, e pensate che avrebbero
avuto ragione, nella Francia Rivoluzionaria, a chiamarvi “cittadino
scrittore” (e “scrittore” può non essere nulla, “cittadino”
però non è affatto poca cosa), vi occorre una livella fra stupore e
morale.
Non
ho modo di esplorare le “fabbriche” di romanzi di fantascienza
cui conservo un buon ricordo: a che punto, nel profondo di sé, il
Van Vogt delle Armi
di Isher provava
repulsione per la guerra e burocrazia? Il
confine fra le ossessioni e il prodotto
di Dick è spesso molto incerto nelle pagine dei suoi romanzi: ma di
fronte alla “sofferenza” dell'une dobbiamo considerare le
scadenze editoriali... Tutti
gli uccelli tornano al nido,
di Ellison, è lo sfogo di un'esperienza a tal punto dolorosa che
penso che il racconto sia solo uno spiraglio su un intimo dell'autore
che mai conosceremo. Ho opinioni da lettore,
non ho gli strumenti ed il metodo del critico;
non
ho a disposizione le edizioni del filologo.
Posso
solo indagare a fondo su un progetto che mi appartiene, mi interrogo
su sense
of wonder
e contenuti
in Eleanor:
Ho
assolto al dovere di un autore “di genere” di divertire e
spaventare il lettore e convincerlo ad acquistare il mio prossimo
romanzo? In 250 pagine di avventure fantascientifiche accadono
abbastanza cose da non farvi sbadigliare. Nell'ordine (più o meno):
- una celebre battaglia nel secolo XIX;
- un rito negromantico;
- esseri che non rispondono alle leggi della fisica che affrontano su un altro mondo giganteschi bug-eyed monsters;
- un'eroina dai capelli rossi ispirata a Lily Cole e una ragazza altrettanto splendida che conosco e voi no; un assistente robot;
- le attuali multinazionali elevate, nel secolo XXVII, a casate nobiliari con Baroni invece che Consiglieri; Granduchi invece che Presidenti e insomma aristocratici piuttosto che manager;
- look barocco negli abiti e gli interni; fondaci orbitali, astronavi a grandi vele solari; olo-schermi e computer e Vivaldi e Poussin;
- carri armati di 20m che terraformano pianeti aridi; ruvidi operai del 2400;
- un'intera comunità dieselpunk regredita alla preistoria industriale;
- macchine sferraglianti che inseguono l'eroina;
- una co-protagonista ispirata a Bianca Balti;
- un'invasione di insetti extraterrestri, scazzottate e scontri con i mostri;
- cripte sotterranee ed antiche tecnologie;
- fughe nel deserto a bordo di pick-up, scambi di fucilate e esplosioni del caso;
- orrido sottosuolo alieno;
- pratiche abominevoli; omicidi ed intrighi; politica galattica nel 2600;
- combattimenti all'arma bianca a 300 volt;
- evento apocalittico & eroico che culmina in un fungo nucleare;
- battaglie fra astronavi nel profondo del cosmo;
- il Cattivo del romanzo che minaccia di ritornare!
In
sintesi è tutto. Ho attinto divertito e sfacciato alla sci-fi dagli
anni '30 agli '80; da Flash
Gordon
passando per Matsumoto, Alien,
Mad Max...
beh, non c'è mai nulla di nuovo sotto il sole. La mia cifra
personale è come sempre il linguaggio, l'immaginario e il colore
seicentesco.
C'è
abbastanza lavoro per i tecnici del 3d. Riguardo ai contenuti?
Il
tema principale che affido al romanzo è lo iato fra civiltà del
superfluo (attuale, virtuale) e civiltà dell'alacre e necessario
(appartenente al passato, concreta). Mano a mano che la prima
conquisterà l'universo (metafora del mondo, del nostro modo di
vivere, e della nostra percezione delle cose) temo che la seconda
diventerà viepiù ferina, primordiale e pericolosa. Non è solo lo
scarto fra naturale ed artificiale: intendo, per esempio, che le
stesse persone che oggi vivono virtualmente di surrogati dei propri
sensi, della propria socialità, si macchiano di efferatezze che è
un eufemismo definire barbariche. Riprendo un match di football con
il mio cellulare: subito dopo do addosso all'arbitro, lo squarto e lo
decapito (notizia di ieri; episodio in Brasile); mi vesto griffato,
frequento gli happy hour e Facebook ma uccido la mia compagna in un
rogo di benzina, la sfiguro con l'acido (cronaca di tutti i giorni,
purtroppo). Insomma avverto che qualcosa di oscuro sta strisciando
dagli abissi contro il nostro “way of life” (e non parlo di
Nyarlathothep, bensì di gravi sintomi di disagi) e tutto ciò che
facciamo è fingere e fingere...
Temo
che la realtà – o quella che conosciamo – ne sarà sopraffatta.
Non
credo nella politica, né nelle “sorti magnifiche e progressive”:
gli Stati, le Nazioni, le idee e le Civiltà si sono troppe volte
tradite al costo vergognoso di milioni di morti. All'artificio e la
frivolezza di un sistema fallimentare, in Eleanor,
si oppongono la bestialità e le tenebre dell'altro: quando lessi
Persepolis,
di Marjane Satrapi, mi colpì lo sbigottimento “storico” dei
genitori di lei nel passaggio dalla Persia dello Scià all'Iran di
Khomeini; da uno stato di “glamour” di ingiustizia sociale al
tallone ignorante del fondamentalismo islamico. L'universo del mio
romanzo è sul ciglio di quel burrone: ho solo sostituito certo tipo
di estremi con un barocco XXVII secolo e un rigurgito di magia nera.
Nonostante
le religioni e le guerre, nonostante gli tsunami, le invasioni di
cavallette, la peste e le bandiere e le Bibbie e Libretti Rossi, c'è
qualcosa però che da millenni ci fa sempre rialzare il capo e dire,
con il Jack di Grosso
Guaio a Chinatown:
“Mena il tuo colpo più duro, amico. Non mi fai paura.”
Quel
qualcosa è l'Umanità, l'altro tema di Eleanor.
Mi
rassegno all'idea che commetteremo per
sempre
gli errori di sempre:
forse saremo saggi per intervalli più lunghi, ma non ho dubbi sui
ricorsi da orangutan. Finché ricorderemo a noi stessi, però, che
abbiamo scritto la Divina
Commedia
e edificato Notre-Dame e Chatres; dipinto Madonne e Veneri; composto
Let
It Be,
il bottone di-fine-di-mondo esiteremo a schiacciarlo. In quell'attimo
cruciale, col polpastrello sul tasto FIRE, ci imporremo, come
Rorschach dei Watchmen,
“nessun compromesso, neppure di fronte all'apocalisse”.
Caro Alessandro, non sottovalutare l'Umanità. Pensa che nel corso dei secoli abbiamo imparato ad avvelenare le nostre acque e la nostra aria, abbiamo fatto esplodere bombe nucleari nella nostra atmosfera solo per vedere cosa succedeva, e infine abbiamo inchiodato a un palo il nostro stesso dio solo perché non eravamo d'accordo con quello che diceva. La civiltà del superfluo non può farci paura...
RispondiEliminaLorenzo
...ma siamo sempre qui a inorridirci di averlo fatto e riprometterci di non farlo mai più; a sbagliare irrimediabilmente di nuovo ma ad apprendere ogni volta la lezione... Ho fede.
EliminaE poi,quando arriveranno i fottuti bastardi alieni bisognerà fare fronte comune!
Io probabilmente tiferò per gli alieni...
EliminaLorenzo
buona giornata, è interessante leggerla.
RispondiEliminala chiusa dell'articolo mi fa venire in mente questo bel raccontino.
Grazie, e benvenuto in questi Avvilenti Paraggi.
EliminaIl raccontino è davvero delizioso.
Interessantissimo!!
RispondiEliminaMi limito a riflessioni personali, evito le lezioni (quelle le svolgo in Accademia): credo che il dialogo con il lettore sia mooolto meglio che imporre a frustate manuali da studiare ;-)
Eliminacarri armati di 20m che terraformano pianeti aridi; ruvidi operai del 2400;
RispondiEliminaLo sai vero, che s'impone di creare qualche gioco da tavolo o di ruolo ispirato a cotanta potenza? :-D
Poi lo intitoliamo come il nuovo film di Bay: "Muscoli & Denaro" :-D :-D :-D
EliminaIo aspetto fiduciosa l'uscita di Eleanor. Ne ho letto abbastanza da sapere che mi piace. Al lettore avido (e onnivoro) non basta mai lo spazio sotto il letto per accatastare libri da divorare durante le ore notturne.
RispondiElimina2015, 2015, 2015... se tutto (a cominciare da me!) va bene...
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