Lettera d'amore a una musa
Ecco
un fatto, nell’amore:
che
appassisce nel tacere;
le
parole più importanti
che
non vengono più dette.
Che
si incrina, si rassegna
di
promesse disertate;
di
propositi ascoltati
che
non vengono più uditi.
Ero
ancora solo un bimbo
spaventato
dalla notte
che
ti vidi a piedi nudi
passeggiare
nelle fiabe.
Ero
forse tredicenne
-
due
scaffali, il sole fioco
che
accucciata sul divano
mi
ascoltasti: «vai avanti.»
A
vent’anni fummo entrambi
consapevoli,
imbecilli,
da
prometterci che «sì»
lungo
i «no» di questa vita.
Ero
un altro, in meglio e peggio;
Tu
la stessa quale resti:
eri
nera, luminosa,
putrefatta
e profumata.
Tu
sei stata pietre e scale,
sei
la stanza d’ospedale,
la
stazione, sei Milano,
l’Adriatico
e colline;
fosti
il bronzo, il rigo greco,
il
caffè e gli anziani curvi;
ti
ho veduta in VHS,
oro,
legno ed il velluto.
Sto
invecchiando (Tu non puoi):
ti
ho mai detto queste cose?
L’abitudine
declina
giorni
umani in pomeriggi.
Io
non voglio farti il torto
di
annuire e dell’usato,
di
insultarti «sì, va bene»;
di
ignorarti «come vuoi.»
Non
vorrei tornare a Te
-
fuori
il mondo, sotto il foglio
con
le idee, con le parole
puzzolenti
ed opportune:
vorrei
essere pulito
del
cattivo vero odore
che
avevamo, veri e vivi,
quando
tutto era più nostro.
Certo,
sì che Tu lo sai
(cosa
so che non sia Tu?):
ma
ti sfioro il volto antico
con
le sillabe pulite,
per
guardarti - con amore
con
pensieri trasparenti.
A
una Musa queste cose
si
confessano in silenzio.
Che
cos’è che ti ho promesso?
Non
ti avrei mentito il mondo
sotto
stracci veritieri;
non
avrei cantato d’epa,
d’ombelico
e di mutande,
IO
maiuscolo grassetto
negli
esametri di ME:
ma
indagato nell’arcaico,
percepire
cos’è dio.
Non
avrei deriso i morti
d’ermellino
di poeta;
«va
in maiuscolo, la P»
in
brochure di assessorati.
Sono
calvo, ho troppa pancia
per
il nero a dolcevita;
non
ti ho detto «storyteller»:
ne
avrei l’anima spezzata.
Non
avrei tradotto il cuore
nel
dettato di un partito;
non
potrei mai umiliarti
d’asterischi
e verbi in rosa.
Non
sei stata «a fianco»; «accanto»;
non
sei stata «al femminile»:
Tu
sei Tu perché persona,
e
un amore è tale umano.
Non
avrei cosparso il nulla
di
bacetti e di sorrisi,
non
t’ho chiesto occhioni, ciglia,
le
vetrine e dietro niente.
Non
mi avresti mai amato
sulla
scena dei cretini;
non
sei stata inconsistente
mentecatta
opportunista.
Com’è
a volte nell’amore
siamo
stati chiusi e soli,
ti
ho taciuti i giorni grigi,
rifiutato
averti accanto,
ti
ho tradita di codàrdia,
l’ho
pensato, che «mai più»:
sarei
stato latta, sabbia,
l’immondizia
su una spiaggia.
Ti
ho tirata per le trecce,
messo
i dadi nelle mani;
ti
ho tirata alla bisboccia
quando
invece Tu eri stanca:
che
mi avresti visto dentro,
che
mi avresti sussurrato.
Fui
cretino, fui senile:
fosti
saggia ed infantile.
Ti
ho mai detto queste cose?
Solo
in queste resto onesto.
C’è
un periodo, nella vita,
che
vuoi solo fare a botte;
c’è
un periodo rancoroso:
sei
convinto che le hai prese;
c’è
un periodo, più maturo,
quando
impari che ne hai date.
Ma
Tu ti accorgi subito
se
il cuore ha fatto a pugni
(lo
sai: non è scontato
che Lei sia qui con te).
Nei
giorni starnazzati,
nei
piombi dell’inutile,
c’è
un fatto, nell’amore:
si
torna sempre a Sé.
Mi
insegni le tue sillabe,
conosco
quelle sole;
vorrei
dirtelo sempre:
sei
Tu queste parole.
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