Ballata dell'Epidemia e della Fine dell'Epidemia



Ballata in due tempi dell'Epidemia e della Fine dell'Epidemia. Dedicata in particolare ad Annalisa Silvestri, Gregorio Bucci e tutti i miei amici e conoscenti medici, malati ed infermieri.

1.
Che ricordi avrai del mondo
che tornò al sole d'aprile,
quanto cupo fu, profondo,
quanto stupido o senile?

Io ricordo città obese
del superfluo, rumorose,
senza piazze, scuole, chiese:
diventate silenziose.

Era un mondo per giocare:
percezioni un po' distorte,
che contò le proprie bare,
restò attonito alla morte.

Era un mondo in autoscatto
di sciocchezze e di veline
quando diedero di matto
per provviste e mascherine.

Era un mondo di pin-up,
di egotisti, alla deriva,
era un mondo di start up:
poi, i reparti di intensiva.

Mi ricordo un mondo lieve,
quelle vite a nolo o rate;
benché a marzo ci fu neve,
le persone spaventate.

Mi ricordo scricchiolare
l'asse fragile. Il denaro.
L'illusione di durare.
Quanto l'hai pagata caro?

Mi ricordo i giorni interi
chiusi in casa con sé stessi,
qui, nei nostri cimiteri,
l'Io distratto, in catalessi.

La infantile nostra foia
per il nuovo, eccezionale!,
che si è spenta in grigia noia;
tu: ridotto un animale.

Era un vivere civile
su una lama di rasoio,
fu un rigurgito di bile
dal gridare allo scorsoio.

2.
Io però ricordo, pure,
di quei giorni eccezionali,
sì, le angosce, le paure.
Le persone, gli ospedali.

Ma ricordo i laureati
ben coscienti del morire
che seguivano i malati.
Che tornavano a guarire.

Mi ricordo i loro volti
spenti, pallidi, segnati;
mi ricordo che, stravolti,
non si sono rassegnati.

Mi ricordo della scienza.
Del rigore. Il fatto vero.
Della nostra intelligenza,
ché la morte non ha impero.

Mi ricordo dei cretini
demagoghi ammutoliti:
eravamo dei bambini,
quando il male ci ha assaliti.

Mi ricordo dello Stato,
mi ricordo la nazione:
come fosse il campionato,
le bandiere sul balcone.

Mi ricordo che tra amici
rinnovammo appuntamenti,
perché l'essere felici
dura più di quei momenti.

Mi ricordo che Tu ed Io
sapevamo avremmo vinto:
non sperammo in nessun dio,
siamo umani, è il nostro istinto.

Mi ricordo delle stelle,
di quell'aria più pulita,
di ragazze anche più belle
quel mattino ch'è finita.

Mi ricordo di Vivaldi
quella notte in questa storia:
questo siete, state saldi;
al cielo terso squillava il Gloria.

Alessandro Forlani

sedicente scrittore, è nato negli anni '70 del XVII secolo, si è reincarnato nel XIX, nel XX e millenni a venire. Nerd, negromante, roleplayer e autore "difficile" di racconti fantastici. Di giorno si impaluda da docente universitario e ciacola di sceneggiatura, cinema e scrittura; di notte, che dovrebbe far l’artista, piuttosto guarda film, legge fumetti, ascolta musica barocca, gioca a soldatini e poi va a dormire. Perché crede che sia più sano scrivere in questo modo.

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