Gli scrittori regalano racconti. Ed ecco il mio racconto di Natale. Lo trovate con molti altri - e quali altri! - nell'antologia Notti di Natale a cura di Luca Leone (Psiche e Aurora Editore). Buone Feste, cari Lettori.
Caterina
non si illudeva, ormai, che sarebbe sopravvissuta.
Era
uscita per la pesca tra le Secche Bolognesi, aveva urtato nel
cornicione o la terrazza di un condominio. La sua barca era affondata
ch'era il tardo pomeriggio a duecentotré chilometri dalle Isole
Appenniniche; lei, con un giubbotto di salvataggio, galleggiava
all'imbrunire tra la sporcizia del Pandriatico.
Una
corrente la trasportava con tonnellate di latta e plastica verso i
banchi di veleno che suppuravano a sud-sud-est; tra una selva
arrugginita di antiche antenne televisive, di parabole, pannelli,
pale eoliche incrostate, che affioravano dall'acqua nei riverberi
serali. Nei fondali limacciosi, di conchiglie e di cemento, si
sgretolavano verdi d'alghe gli edifici di Faenza, di Cesena e di
Forlì; granchi neri negli alberghi lungo i viali di Riccione,
l'antica Rimini degli amarcord che scompariva nel fango scuro.
Le rovine di un'Italia inabissata da mille anni.
Caterina
era allo stremo, dolorante ed assetata. Con il fuoco sulla pelle, con
il sale nella gola. E la puntura di atroci crampi nei polpacci e
nelle spalle. Calò il sole, venne buio. Soffiò garbino
dall'occidente. Era un giorno breve e fresco sul finire di dicembre.
Lei tremò del vento umido maligno che increspò la superficie di un
orizzonte già pece e nubi; l'acqua salsa, fredda e sporca le
appiccicava i vestiti addosso. Era gelido. Tremendo. Tra i
pensieri febbricitanti che le affollavano la mente esausta, le nebbie
del dolore, ricordò i racconti folli di certi anziani di Porto
Modena: sui lunghi inverni davvero ingrati del Mondo Prima e sul mito
della neve - quando era mai caduta? - e le impossibili temperature
dallo zero ai meno nove.
«Ma
va là »,
scrollò le spalle, «chi
le avrebbe sopportate?»
GiÃ
lì adesso, batté i denti, le sembrava di morire. Perché a breve
- si incupì - sarò il pasto di verdesche.
Cielo
e mare si sfumarono in un nulla vuoto e nero; molto in alto, troppo
in alto, luccicarono le stelle. E all'eterno sciabordare si
alternarono i gloglotti, lo sbatacchiare di bottigliette, lattine e
taniche tra l'immondizia. Caterina chiuse gli occhi nell'angoscia
della fine.
Il
suo cadavere sarebbe stato un'immondizia tra le immondizie
nell'universo deteriorato che degradava da dieci secoli, quelle
vestigia imbecilli e sozze di un'estinta civiltà . Sempre che - lì
maledì - poteva dirsi "la
civiltà " fare
sommergere e attossicare la Terra e lasciare ai propri eredi sale,
plastica e petrolio. Lei, la sua tribù, nell'Arcipelago dall'Alpi
all'Etna, sopravvivevano su rocce nude a tsunami di rifiuti, sotto
nubi di anidride che scrosciavano d'amianto. Quale stupido poeta
poteva avere sognato, un giorno, che il pianeta - quando, altrove
- aveva avuto foreste verdi? Cosa sono, le foreste?
E, se esistevano incantesimi taumaturgici, quel suo popolo sconfitto
ne aveva persa la conoscenza. Si sentì stampata
addosso una data di scadenza: 24.12 del 3019.
L'orologio
da subacqueo rintoccò la mezzanotte.
Questa
notte.
Affonderò.
Ma
fu scossa, all'improvviso, da uno scoppio e un ululato. Poco lontano,
di fronte a lei, corse in cielo un razzo rosso, che sbocciò in un
fuoco intenso a illuminare un barcone piatto. Il tossito di un motore
echeggiò sul mare buio, la investì l'alito caldo e il boato di un
ugello. Un magnifico ragazzo con il volto e corpo eburneo, tratti
olimpici e sottili su un torace lottatore, fendé la notte, calò
dall'alto e le sorrise di non temere:
«Sei
salva.»
Indossava
- benché il freddo - solo un paio di bermuda. Ed un prototipo di
zaino-razzo gli ruggiva sulle spalle. Gli occhialoni da aviatore gli
proteggevano gli occhi grandi, chiari, luminosi, di una strana,
seducente, spaventosa fissità . I capelli lunghi biondi,
luccicanti d'acqua e luna, gli scendevano alle spalle sulle cinghie
dell'ordigno.
Le
tese il braccio, lei l'afferrò: ma troppo debole lasciò la presa. E
ricadde tra i rifiuti come un incubo angoscioso.
Perché
è questo che dev'essere - pensò
- sto delirando.
Il
ragazzo, più veloce, le strinse il polso, la tirò su. Con lo
sguardo divertito. Senza fare alcuno sforzo. La abbracciò, riprese
quota, volteggiò sull'onde nere. Quasi lei, col giubbotto e i
vestiti gonfi d'acqua, non avesse nessun peso.
«Sono
morta.»
L'altro
rise.
«Sto
sognando.»
«Starai
bene. Sei esausta, un po' confusa. Ma è normale, con quello che ti è
successo.»
«Tu
chi sei, della Marina?»
«Sì...
Non proprio... Sono solo un messaggero.»
«Bell'aggeggio,
questo jet-pack.»
«L'abbiamo
tutti.»
«Ma
tutti chi?»
«Vai
curata, adesso.»
«Grazie.»
«SarÃ
meglio che ti posi.»
«Ãˆ
il Pandriatico, non puoi lasciarmi...»
«Ci
sono loro. Ti
puoi fidare.»
Le
indicò la grande chiatta che incrociava innanzi a loro, un barcone
di migranti che dormivano sugli assi. Centinaia di persone da altri
posti, tutti
i posti, che navigavano sul Niente Oceano verso un'altra apocalisse.
La Catastrofe è di
tutti, le insegnavano
i proverbi. Tra le donne coi bambini sotto coperte di lana grezza,
gli ampi teli di incerata che rimbombavano al vento forte, si
accucciavano a ronfare capre, asini e vitelli; con i fagotti del poco
e nulla che stringeva quella gente. Caterina vide a poppa la cabina
improvvisata: un rifugio di cassette, di lamiere e copertoni dove nei
cerchi di torce elettriche discutevano tre vecchi, dall'incarnato di
sabbie e sole e i caftani iridescenti. Il ragazzo atterrò là . La
adagiò su sacchi morbidi di iuta dal profumo raro e inteso; la
stordirono di sacro.
Grani porpora di incenso e una resina perlacea. Tra le iute
scintillava, alla luce delle torce, una ciotola di legno che
traboccava di oggetti d'oro: vere, ciondoli, bracciali e medagliette.
I
tre vecchi erano curvi su una cartina del Mare Italico scarabocchiata
ad inchiostro rosso di indecifrabili strani segni: stelle e croci
inscritte in cerchi con maiuscole insensate. Caterina, come tutti,
sapeva leggere le carte nautiche: quella, tuttavia, le riusciva
incomprensibile. Acqua in pentola bolliva su un fornello da
campeggio, e in un angolo notò teli candidi e imballati.
Non
sembrarono stupiti del loro arrivo.
«Melekh,
Belshatzzar, Khazandar», li chiamò quel ragazzone.
«Gavriel,
salve», gli risposero ossequiosi.
Si
strinsero la mano. E seguirono il brillio del razzo rosso nel cielo
nero: che scendeva lentamente, bicaudato di vapori, ad affondare
nell'immondizie tra le onde all'orizzonte.
Caterina
si distese in suffumigi di narghilè, di resine e di spezie. Si voltò
verso il ragazzo. Lo interrogò con lo sguardo ansioso, stanco ed
offuscato dubitando di quei tre, di quel carico bizzarro. Roba d'oro,
sì: gioielli. Ma anche denti,
le sembrava. Mirra, incenso, forse
droga; la tratta
infame dei disperati che dormivano sul ponte. Guardò ai pentacoli
tracciati in rosso: sospettò che fosse sangue.
Restò in silenzio, ma
lui comprese:
«Devi
credere», rispose, «certi orrori sono ciechi»; azionò lo zaino a
razzo e scomparve nella notte.
La
rinfrescarono, «non inghiottire: può farti male»; la medicarono.
Le ferite e gli ematomi procurati nel naufragio. E le imposero le
mani, colorate di tatuaggi, vizze, magre e brucianti
di energia. Si sentì rinvigorire. Si sentì rigenerata.
Chiuse
gli occhi alla stanchezza:
«Sono
sfinita. Vorrei dormire.»
«Resta
sveglia. Ancora un po'», le sussurrarono gli anziani maghi, «sta
per succedere. Sei testimone.»
Restò
turbata. Non li capì. Tornò seduta sui sacchi morbidi.
Udì
un urlo dalla prua. I lamenti di una donna. Pianti, risa femminili
che la attorniavano premurose. Occhi vivi scintillanti nella fitta
oscurità . Lo sgomento di un ragazzo, con un bordone da pecoraio, che
allontanava le capre e gli asini da quel lato della chiatta.
Gavriel
calò dall'alto - le sembrò fosse riapparso...
- le fiamme azzurre del zaino-razzo rischiararono la scena. Uno
scambio concitato tra il pastore e alcune donne:
«Ãˆ
la mia Myrhiam! Sarò d'aiuto!»
«Sei
solo un uomo, Yosef, fa' largo», lo allontanarono sbrigative. Tre di
loro si affrettarono alla cabina dei guaritori, che le provvidero dei
teli candidi e della pentola d'acqua calda.
Ritornarono
alla prua. Sgomberarono la folla.
Su
un telone in pvc, là , sul fondo della chiatta, era stesa una ragazza
che strillava intenta al parto.
Le tenevano la mano, le asciugavano la fronte, la pulivano dal
sangue che le macchiava le cosce brune ed il grembo, del sudore sulla
pelle e su quei folti capelli neri. La consolavano con canti antichi
sulla Vita e sulla Terra.
Quella
Myrhiam doveva avere sedici anni, forse meno. Era brutta,
denutrita, con un abito a brandelli. E gridava in quella notte per
l'atroce sofferenza. Ma è bellissima, lei pianse. Si alzò
d'impulso - col fuoco dentro - e le andò accanto con l'altre donne.
Intrise i teli con l'acqua calda. Sotto gli sguardi impotenti e muti
degli uomini là a bordo. Facce dure e volitive. Le pistole al
cinturone. Coi coltelli nelle tasche, con la rabbia nelle braccia.
Con gli insulti e le menzogne trattenute tra le zanne. Ma che
restarono a testa china senza forza né parole.
Davanti
a loro la barca piatta fendette i cumuli di sporcizia: sotto gli
strati di latta e plastica bollì il bruno del petrolio, e dei
viscosi veleni chimici che scivolarono sullo scafo. Quelle macchie
assomigliavano a volti verdi di spettri che il riflusso delle onde
distorceva di rancore, protestavano alla morte le promesse di
trionfo.
Myrhiam,
pallida, sudata, insanguinata, strinse i denti e giurò feroce che
avrebbe vinto, sarebbe nato. Che né il bambino né loro o il mondo
si sarebbero mai spenti.
Belshatzzar
portò la torcia perché avessero più luce, e si sedette sul
parapetto giusto dietro la ragazza. Il cerchio bianco di raggi
elettrici la ammantò, la incoronò.
Tra
quelle gambe spuntò la testa. Le vene rosse. Riflessi d'oro.
«Buon
Natale, Caterina», le augurò l'anziano mago. Anche Gavriel, spento
lo zaino-razzo, si
asciugò gli occhi lucenti in ginocchio sulla chiatta. Cantò versi
in un idioma che non credeva esistesse più:
«Gaudete,
gaudete...»
«Buon...
che cosa?», lei rispose, col cuore gonfio di ignota gioia. Levò lo
sguardo alle stelle in cielo: le sembrarono perfette.