Recensione di Luca Mazza sulla rivista La Nuova Carne
Questo non è un sogno. NON è un sogno.
Noi usiamo il sistema elettrico del tuo cervello come ricevente.
Non possiamo trasmettere attraverso interferenze Voynich.
Tu ricevi questo messaggio come se fosse un sogno. Noi trasmettiamo dall’anno 2 0 2 5…
No, non è un sogno.
E nemmeno il reboot di un horror-cult di Carpenter.
È la quintessenza di “T”, l’ultimo squiLibro del bis-uranico Alessandro Forlani, Fulcanelli del fantastico italiano (o di ciò che ne sopravvive). Un nostronomicon indicizzato alla voce Pseudobiblium nella rete Amazon, “T “ha il sapore escatologico del romanzo definiTivo.
Già nella scelta letteraria -e letterale- del titolo il Forlani insinua il germe profetico, la base azotata dell’iniziazione che si intraprende approcciandosi all’opera. Ché T essenzialmente è un wormhole tra due realtà: la nostra, ammainata, arenata, “Disillusa”, di “ventenni fatti e strafatti di Games of Throne, magic, roleplay, manga, sospesi tra Orda e Alleanza” e l’immaginario lisergico dell’hardtista che “fino a ieri scriveva i romanzetti con i robot, le astronavi, i draghi, gli elfi e questo genere di cose”.
T sta per Thanatolia, ein setting fantasy, un incubo condiviso di “lapidi, croci, obelischi e orrendi oceani di nebbia” di cui il Forlani è possessore e posseduto, Paracelso e paraculo.
T, per gli incolpevoli interpreti della trama, sta per Tomba. Vi è rinchiuso chi si macchia del peccato più orwelliano, ovvero il non aver fatto niente. Coloro che “fingono battaglia e si sottraggono alla pugna”, i NEET nullatenenti e nulladocenti dell’Italia distopica ventura, interculturale e multimediale, ove Casapound e centri sociali stringono sodalizio, gli ipermercati si fanno dungeon e Rebibbie e Sanvittori sono carceri rem-detentivi metodizzati da una neurologa (guarda caso!) tedesca “dal volto di bambina e il ventre gravido di feti morti”.
In un complotto di generi che occhieggia a Matrix, la Torre Nera e il Jack Viaggiante kinghiani, Ready Player One ma in chiave dantesca, il Forlani ci naviga per meridiani e paralleli di acciaio e oscurità, dispensando sword e sorcery in un frasario sempre sopra le righe e rigorosamente sotto necrotina.
Il fantasi di “T” è anarchico e alchemico, Gog e Magoogle. Non ammette compromessi, “non conta il logo ma il concept per cui si combatte”. È labirinto, crogiolo e bilancia con cui l’hardtista stratifica film comics gdr serie e narrative e dosa “sabba, nepente e magia”in un ourobouro di allegorie e ammiccamenti, da Cronenberg ad Atreju, da Pinhead a Cervantes passando per lo Star Lord.
Uno dei piaceri del testo è infatti la caccia alla citazione insita nei capitoli, conditi di alter ego ed easter eggs letterari e personali (Alessandro Pattini, Alexander Pathemet, dichiaratamente lo stesso Markus Alher …), che ci trasforma tombaroli in un Necrontinente disseminato di ori e ossi.
La satira di “T”, vissuta nelle sdoppianti odissee dei suoi personaggi, è l’evidenza delle assenze della nostra contemporaneità. “Un rigo d’ombre, di improbabile e di forse”, iperbolica se per ascissa prendiamo l’eccentricità dello stile e in ordinata il senso comune del pensiero regnante.
Il Forlan grifagno “con ira in foco in sangue in fanghe in ghiacce inerti abbrucia attuffa asserra” i suoi demoni e personaggi e lettori. Scippa loro i cardinali, li danna a una cerca cavernosa e psichiatrica, annodando attorno e dentro di loro le fronde e i rami della selva oscura, e li “affonda nel fango molle dei pensieri di se stessi”.
I capitoli sono intrisi di una prosa ieratica, giostrata con la spadino della dialettica e il cannone della semantica, trappeggiata in ottonari: “quello Dentro è troppo forte / ci ha scacciati, fatto a pezzi / ci ha lasciato qui a marcire / prendi l’oro prendi tutto /metti fine al mio tormento. Il Forlani è sempre pronto a sostituirsi agli dei della poetica, quando sono distratti!
JR Wilcook, nella sua prefazione a “La Nube Purpurea” di Shiel, scrive che” l’evoluzione del linguaggio porta alla comunicazione zero, (ergo) l’evoluzione letteraria porta sempre più strettamente al contatto dell’autore con se stesso, cioè al fatto di scrivere per se stesso”. Come testimoniano Pauwels-Bergier ne “Il Mattino dei maghi” “per l’alchimista il vero fine è la trasformazione dell’alchimista stesso, l’evoluzione in un grado di conoscenza via via meno vile”, metafora dell’oro filosofale che si discosta dal piombo.
Con “T.”, Forlani “fassi in su l’uscio” con un opra (anzi un’OVRA) senza precedenti, indiscutibilmente alchemica, profondamente evoluta.
Pertanto l’unica pecca del romanzo, a mio immodesto avviso, potrebbe rivelarsi il lettore medio, “infetto decenni or sono dall’estate stupida dei gimme five; dagli interrail, gli aperitivi, gli anni in erasmus e i talent show” e che mai ha udito i bronzi di Barry Lindon o i necrologi di Tirteo.
Personalmente io ho letto e metabolizzato “T” in un’unica tirata spronato dal vago timore che, nel richiuderlo, le sue frasi e cabale si sarebbero riallineate in qualcosa di più arcano, proibito, cosmico e abissale, costringendomi a un tiro salvezza contro la follia.
C’è un aneddoto su Alessandro Forlani che forse può spiegare la sua parabola artistica e intellettuale.
Un giorno gli domandai una fototessera per non so quale collaborazione, e mi ritrovai ad ammirare una sua jpeg color seppia. Assetto mefistofelico, barba da grimorio, tenebra scintillante nelle orbite.
«Ma questo è Aleister Crowley» mi sconcertai.
«No, sono io» mi disse il magister «Crowley è più in basso che mi fa una pompa».
Metaforica-mente, s’intende.
Ecco, forse è con la pompa metà forica di tanto psicopompo che Alessandro Forlani ha lubrificato le rotas della sua opera.
“Se in questo momento c’è la guerra, cosa significa per chi dorme?” si chiedeva Gurdjieff nei frammenti dell’occultista Upenskij. “Significa che molti milioni di addormentati si sforzano di distruggere molti milioni di altri addormentati”.
“T” è una chiamata alle armi concettuale, una pillola rossa per vedere meno nero questo stato di veglia.
È giusto che lo sappiate, prima di inghiottirla.
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