Questa è la scheda di lettura che ho recentemente redatto per il romanzo di un cliente: un esempio del mio modus operandi in ambito editing, mentoring e altri fasi di stesura, revisione e proposta agli editori di un testo. Ometto alcuni passaggi per ovvie questioni di privacy.
TITOLO:
Il romanzo è incentrato sull'assedio di Radebona, con alcune
"secondary quest"
(come oggi si suol dire: espressione da videogame) dei
personaggi protagonisti. Tanto che la prima parte (fin direi pagina
100, o giù di lì) mi ha fatto pensare a un Omero che scrivesse
l'Iliade dopo aver visto The Alamo di John Wayne;
mentre la seconda parte è più simile al modo in cui Ariosto
racconta l'assedio di Parigi e le fantastiche avventure dei vari
paladini in giro per il mondo. Ma l'assedio resta comunque il tema
principale, quindi suggerirei di concentrarsi su questo. Da
banalissime soluzioni quali L'Assedio di Radebona o Sulle
Mura di Radebona a scelte più originali (io però, purtroppo,
per i titoli sono davvero negato). Un semplice Radebona con
copertina adeguata conquisterebbe gli appassionati di letteratura
fantastica di ispirazione storico-romana.
TOPONOMASTICA:
L'ambientazione europea mi ha molto affascinato. Mi sono immaginato
quell'Europa dell'alto medioevo non più romana ma non ancora
romanica né figuriamoci gotica; un'Europa bizantina che è già in
parte carolingia. In questo senso alcune descrizioni di armi e
soprattutto armature mi hanno lasciato un po' perplesso, ma è pur
vero che i cavalieri germani alleati dei Romani che sconfissero
Attila erano già equipaggiati come i Normanni ad Hastings, e la
tecnologia militare, in passato, ha avuto uno sviluppo molto più
lento di quello che immaginiamo (penso alla Guerra Civile Americana
combattuta esattamente alla maniera, e con le armi, napoleoniche).
In
questa fascinazione sono stato aiutato dai nomi originali dei popoli
e dei luoghi, ma devo lamentare che tale immersività e sense of
wonder (conditiones sine qua non dell'attuale narrativa fantasy) si
spezzava ogni volta che leggevo "Reno"
o "Alpi".
Perciò suggerisco di usare i nomi originali per tutti i
luoghi del romanzo oppure, al contrario, di tradurre anche "Dhanais"
in "Danubio",
eccetera.
Questa
seconda soluzione a mio parere collocherebbe ancora di più il
romanzo in un'Era del Mito. Forse persino troppo. La mia
perplessità è che al più ruvido gusto di alcuni lettori (la
maggior parte?) tale Europa somiglierebbe non a quella di un romanzo
fantasy ma di una vera e propria fiaba: la Foresta Nera di Biancaneve
o la Francia di Barbablù, insomma. E' una scelta che spetta
all'Autore coerentemente alle sue intenzioni e la sua poetica.
Corollario:
eliminare la carta geografica allegata al romanzo e lasciare che il lettore
scopra con stupore da sé in che mondo ci troviamo. L'elemento
fantastico è molto, molto ben amalgamato a quello
"storico-realistico".
Anche quando giungono a Radebona le armate di Valpulis, totalmente
demoniache, anche quando vediamo all'opera gli incantesimi del Re
Stregone, tali cose son mostrate con misurata naturalezza. Non c'è
quindi alcun bisogno di allertare chi legge sul fatto che «Ã¨
l'Europa, però è fantasy, ti va bene lo stesso?»
Mi
dispiace invece dover drasticamente bocciare "Il
Re Stregone"
e "La Spada di
Ghiaccio", perché
ahimè ormai troppo presenti e cristallizzati non dico nella cultura
del lettore fantasy ma addirittura in quella pop. Re Stregone ce n'è
uno solo, e tutti sappiamo che è quello dei Nazghul. Idem per la
Spada di Ghiaccio... che è quella della prima indimenticabile
avventura fantasy di Topolino! Tolkien e troppi dopo di lui hanno
monopolizzato sinonimi quali "negromante",
ma finché esisterà una Storia della Lingua le soluzioni non
mancheranno.
Mi
sono immaginato combinazioni di greco, slavo e latino con "basileus",
"goetia",
"strix",
"gospota",
"caesar",
"manteia"
ecc. Circa la spada, si può risolvere banalmente con "Lama
di Gelo" o tentare
voli più poetici quali "Filo
degli Inverni"...
Ho
avuto anche un'iniziale perplessità riguardo gli Arimaspi. Io ho
divorato bestiari medievali e li ho riconosciuti da subito, ma la
prima volta che appaiono (non ricordo il capitolo: scrivo purtroppo
queste note senza avere a portata di mano il file del romanzo), con
il loro "occhio
rosso" e i loro
mostruosi destrieri ricordano troppo i servitori di Sauron. In
seguito (soprattutto nella loro carica contro il muro di scudi e
picche della battaglia finale) li si "vede"
benissimo quali sono. Credo basti cambiare qualche rigo di
descrizione appunto nella pagina della loro prima apparizione e il
problema sarà risolto.
PROLOGO:
Le "notizie
storiche e geografiche"
all'inizio del romanzo (come si usava definirle nella letteratura di
viaggio del XVIII secolo) vanno eliminate. Di primo acchito mi era
sembrata una buona idea iniziare il racconto dalla scena in cui,
conclusa la sanguinosa ordalia voluta da Ahzi Dahak per eleggere i
capi dei vari popoli, costoro si promettono amicizia ma presagiscono
anche che diventeranno mortali nemici. Avrei anzi suggerito
all'Autore di cominciare qualche istante prima, un incipit in media
res con gli ultimi ferocissimi colpi dello scontro (sono convinto che
William Shakespeare avrebbe fatto così). E, tutto sommato, può
essere ancora una buona idea. Poi però, quando mi sono accorto che
questo romanzo parla di Radebona, dei suoi morti e dei suoi eroi, da
entrambe le parti, ho capito che la storia dovrebbe iniziare
dall'arrivo di Mirluin nella fortezza (pag. 9) o da Aryamar che ne
contempla le mura imponenti dall'alto (pag. 8 se ben rammento).
L'episodio dell'arena di Dahak potrebbe comunque restare in corsivo
come "sequenza
precedente i titoli di testa".
PUNTO
DI VISTA DEI PERSONAGGI: Gli eroi che rimangono da subito
impressi sono ovviamente il capitano atlantide Mirluin, Valawayne,
Elmor... ma in fin dei conti tutti i loro compagni Razziatori
Scarlatti (con mia personale preferenza per i due Orchi). Così come
ho fatto un tifo spudorato per due comandanti barbari: Siegemar
(accidenti se mi è dispiaciuto quando è morto alla prima battaglia
sul fiume, ma accidenti se è stata una bella battaglia. Soprattutto
la battuta in cui avverte i soldati che se muore lui non importa,
purché il vecchio guerriero capace di usare le balliste raggiunga lo
scopo) e lo schiavo liberato Bjargan: un Achille germanico. Il
capitolo del suo dialogo con Bellomar sulle rive del Lete è
bellissimo, uno di quei casi in cui un autore pensa: «Ecco,
questo vorrei averlo scritto io.»
Ho
tutt'ora una cotta per Gorfarid.
Insomma:
il "problema"
è che hanno praticamente tutti talmente tanta personalità e
importanza nella storia che è impossibile, come piace alla narrativa
moderna, adottare il Punto di Vista (PoV) ravvicinato di uno solo di
essi e "guardare"
la vicenda con i suoi soli occhi. Assolutamente infattibile nelle
scene di battaglia e nei capitoli dedicati alle singole personali
"secondary
quest".
E' quindi senz'altro giusto adottare la tecnica dell'Istanza Narrante
Onniscente, ma - al contrario di quanto piaceva alla sensibilitÃ
ottocentesca - attenzione a non rivelare mai la presenza di
tale Narratore Esterno. Ho contato nel romanzo due espliciti "tu,
o lettore" (uno nel
finale, quando al termine della battaglia si racconta che fine abbia
fatto Elmor; uno a metà racconto se ben rammento, la notte
successiva al primo scontro) che devono assolutamente sparire.
Così come un "all'epoca
di questo racconto"
credo a pag. 6 o 7.
(NOTA:
fosse per me concluderei il romanzo a pag, 235 con la frase "come
se … fossero con loro")
La
soluzione del Narratore Esterno esclude anche il riportare i pensieri
dei personaggi in prima persona: l'uso del corsivo non basta a
giustificare un repentino ritorno a un PoV in questo caso più
che ravvicinato. Suggerisco di alleggerire un po' il contenuto di
alcune di queste riflessioni (quelle più lunghe, e limitare le linee
di pensiero a singole frasi il più incisive possibile, quasi
fulminanti aforismi) e introdurle oppure chiuderle con un semplice
"pensò"
o sinonimi del caso.
(NOTA:
altra cosa da eliminare a tutti i costi, perché attualmente
considerate un "abominio"
in narrativa, sono le note al testo. La soluzione è sostituire i
termini/dettagli tecnici che illustrano con altri più comuni o brevi
righe di descrizione nelle scene in cui compaiono; includere un
glossario in appendice o - meglio ancora secondo me - lasciare che il
lettore assimili certe nozioni immergendosi nel contesto diegetico.
Alan Moore ha dimostrato che si può fare in graphic novel di intere
tavole in tedesco o... in lingue aliene! Con ciò, eliminare anche la
"tavola dei
personaggi"
all'inizio del romanzo).
LINGUAGGIO:
Sopratutto la prima, anzi primissima parte del romanzo è minata da
alcune scelte lessicali che benché concettualmente corrette suonano
un po' troppo anacronistiche rispetto all'ambientazione e la cultura
dei personaggi. Anche senza il testo sotto mano ricordo bene un
"tecnologia";
"falsificate";
"servizi"
(nel senso di intelligence!) che davvero mi hanno fatto
storcere il naso.
Alcuni
intermezzi comici fra i personaggi protagonisti (a volte un po'
eccessivi) sono "aggravati"
da questa scelta dei vocaboli. Per esempio lo scambio sul "rancio",
cui ironicamente si risponde che è "ottimo
e abbondante".
Altro
gap che mi è sembrato eccessivo è quello fra la cultura militare
degli atlantidi e la civiltà loro erede e l'epoca ed il mondo in cui
si svolge il romanzo. I riferimenti a un'accademia e studi di tattica
e strategia, così come gradi quali "tenente",
l'inquadramento di "sottufficiali"
sono decisamente troppo fuori luogo per il contesto che il lettore
sta immaginando, anche accettando che l'Europa in cui ci troviamo è
la pallida, imbarbarita vestigia di un'Atlantide che fu evoluta.
Perché non sostituirli con equivalenti (seppure imprecisi) di eco
medievale? Certi titoli quali "thrall";
"thane",
"gastaldo"
ed altri vari che ottundono ma soddisfano gli appassionati di
fantasy.
Io
so che la gerarchia e la scuola militare romana e poi
bizantina era anche più complessa (se ricordo bene le legioni giÃ
Repubblicane contavano una cinquantina di ufficiali di campo
estremamente specializzati), ma sospetto la maggior parte del nostro
pubblico di elezione faccia già molta fatica ad accettare e
collocare culturalmente lo "sceriffo"
di Nottingham e i "marescialli"
dei Rohirrim...
Nulla
da eccepire, invece, sull'evoluta tecnologia dei Nani, perché questo
è un topos consolidato. Io non lo sopporto, ma amo le balliste.
Aggiungo
qui una considerazione sull'uso di diminutivi amicali (nei dialoghi)
per i nomi dei personaggi. Comprendo che si tratta di far sembrare
più realistici gli scambi fra questi eroi che, in fin dei conti,
sono poco più che adolescenti... Ma: 1) i nomi sono tanti,
non comuni e non facili da memorizzare e/o associare immediatamente a
questo o quel personaggio: aggiungere varianti confonde un po' le
idee; 2) stiamo parlando di un mondo in cui a quattordici anni si era
capi di tribù, e a quaranta si era considerati vecchi saggi o
veterani guerrieri "dalla
barba fiorita", come
quella di Carlo Magno nella Chanson. A diciotto si pensava e
vedeva il mondo in termini guasconi (anche questo un anacronismo!),
ma di sicuro l'adolescenza e il suo sentire non erano che un
ricordo... casomai la si fosse mai vissuta.
In
questo senso lessi un saggio interessante e convincente sui sepolti
in età del bronzo nella Necropoli di Novilara.
Ma
tornando agli intermezzi: sono più che d'accordo sul fatto che anche
gli déi facciano l'amore, vadano di corpo e debbano fare il bucato
(«gente così nobile che
anche la loro merda è di marmo!»;
accusava Mozart nell'Amadeus di Shaffer/Forman), ma la loro
architettura e utilità narrativa mi sembra contrasti troppo con
l'epos del romanzo nel suo complesso. Tanto che nella seconda parte,
quando il Mito irrompe potentemente, spariscono praticamente del
tutto.
Anche
in termini biecamente commerciali, segnalo che certe concessioni sono
quelle che più dispiacciono ai lettori conservatori.
IL
CALCOLO DEL TEMPO: La puntuale registrazione e successione di
ogni singolo giorno d'assedio di Radebona serve senz'altro a far
sentire al lettore il dramma e la tensione dell'essere assediati. Ma
diventa un po' un difetto quando usciamo dalle mura e seguiamo i
protagonisti nelle loro avventure che definirei iniziatiche nella
caverna delle Norne, nelle profondità di Nessunmai, nella selva di
rovi della Ninfa-Cigno, nella tana della cucciolo di Drago eccetera.
(NOTA:
in questo episodio sostituire assolutamente il termine "babbo"
con l'ahimè solenne "padre":
ho appurato con stupore che mezza Italia non lo intende come lo sente
l'altra mezza!).
Perché
- a dar retta al calendario del romanzo - ne risulta che certe
faccende da cui cui dipende una vita, un'anima immortale, certi
Avvicinamenti Alla Caverna Più Recondita (per dirla alla
Campbell/Vogler) si risolvano in giornata come pratiche del Fisco.
E'
pur vero che si precisa che Valawyne, a dorso di grifone, può
compiere in due ore un tragitto di due giorni... ma, più che di
distanze e di tempistiche reali e mondane, qui si parla di misure e
di intervalli simbolici, spirituali.
Suggerisco
di eliminare quasi tutte le indicazioni in questo senso e conservare
solo quelle dei momenti clou-davvero clou dell'assedio,
elevando così in un limbo atemporale gli episodi fantastici. In
questo modo si favorisce quella Sospensione dell'Incredulità da
parte del lettore che è una legge incontestabile fin da prima il
Sulla Fiaba di Tolkien... e, in fin dei conti, è anche quello
che fanno Ariosto e Cervantes.
A
livello puramente personale mi è sembrato piuttosto debole
l'episodio della "Gente
del Muschio", che
credo si possa eliminare. Anche se devo dire che è proprio in quella
pagina che il lettore ha modo di comprendere chiaramente (fino a lì
solo suggerite) la natura e le implicazioni del legame fra gli
sciamani e gli animali di cui prendono il controllo.
ULTIME
SPECIFICHE: Nel testo sono naturalmente presenti alcuni innocui
refusi, errori di battitura: nulla che il correttore automatico di
Word o un onesto correttore di bozze (ove l'editore se ne avvalga)
non possa risolvere.
A
pagina 81 c'è una frase, "avevano
sconfitto quei guerrieri barbari che erano parsi invincibili quando
li avevano cacciati dalle loro terre"
che non è molto chiara. Mi rendo conto delle intenzioni, ma c'è il
rischio di equivocare che fossero stati i contadini a cacciare i
barbari.
Nella
seconda grande battaglia (quella in cui muore Bjargan) c'è un abuso
della formula: "stava
per... ma una freccia glielo impedì".
Non è un errore in sé, ma se possibile tenterei soluzioni
alternative.
TARGET
DEL ROMANZO E A CHI PROPORLO: Ci ho trovato di tutto: Omero,
Virgilio, Tasso, Ariosto, John Wayne, Le Fate dell'Ombra
di George MacDonald e le fiabe dei Grimm; manuali Osprey sugli
eserciti barbarici e wargame quali Warmaster, Civilization e
Decline and Fall; sequenze come quella dell'ultima battaglia
di Giovanni delle Bande Nere ne Il Mestiere delle Armi di
Ermanno Olmi ma anche entertainment puro quali Braveheart o Il
Tredicesimo Guerriero. Chi è colto apprezzerà la profonda
cultura dell'Autore e dell'Opera, chi si accontenta semplicemente di
"fentasi di menare"
sarà lo stesso molto soddisfatto.
I
cosiddetti grandi editori non investono in fantasy italiano, salvo
operazioni più a tavolino di quanto si possa immaginare quali quelle
sulla Troisi, la Stazzulla o Dimitri che comunque hanno fatto una
brutta fine. Consiglio quindi di proporre l'opera a:
(segue elenco di contatti editoriali)
Alessandro
Forlani