Ho
un'idea molto semplice del genere steampunk, specie dello steampunk
di ambientazione italiana: la visione molto sopra le righe di un
secolo molto sopra le righe.
Non
a caso, fino a qui, ho scritto tre volte molto.
Dall'eroico
Risorgimento fin il gesto dannunziano, passando per i libretti, le
partiture di operette e melodrammi; e le Lettere
dell'Ortis
e
il ritmo militare di un Marzo
1821,
il nostro è un '800 dell'enfasi: e a farlo diventare un '800 del
fantasy - fosse solo per assonanza - non ci vuole granché. Questa
breve riflessione che pubblico è derivata dalla stesura di Clara
Hörbiger:
un romanzo steampunk di ambientazione lombardo-veneta il cui titolo
definitivo sarà , ormai l'ho deciso, Una
Insulsa Invasione. La
scrittura in particolare dei dialoghi, più ancora del descrittivo di
enormi macchine, dirigibili, di roboti e cannonate, mi ha convinto
del carattere - e la funzione di straniamento
- delle linee di dialogo nella prosa "a vapore".
Che
i dialoghi non debbano ripetere l'azione; non esaurirsi in una botta
e risposta e che servano a progredire la storia, aggiungendo
informazioni per "rilanciare" il racconto, sono salubri
accorgimenti dello scrivere narrativa. Ma, se assumiamo lo steampunk
soprattutto per il valore del suo suffisso (di ilare, e parodistica
restituzione della nostra società ; dell'evidenza dei suoi difetti e
contraddizioni alla lente di un retro-futurismo, l'ammettere con
William Gibson che “siamo i Vittoriani”), i dialoghi acquisiscono
un'ulteriore funzione, e diventano l'incidente stradale del
verfremdungseffekt
teorizzato da Bertolt
Brecht.
Per
scrivere battute di personaggi steampunk, da che ho preso a praticare
questo genere di fantascienza, ho a modello i libretti d'opera
soprattutto di Gioacchino Rossini: quegli scambi fra personaggi
borghesi, quelle maschere da comédie
del loro tempo, che esageravano in palpiti, svenimenti e cervelli in
fiamme (sic!) situazioni niente affatto drammatiche quali un
qui-pro-quo o lo scambio di una lettera. A confronto con i testi di
un Da Ponte, o persino gli eroi barocchi di un Haendel... beh, nel
Seicento e Settecento si esprimevano in modo molto
più sobrio, considerato che Don Giovanni sta per cadere all'Inferno
e che Rinaldo è un paladino contro “furie d'Aletto”.
Ma è stato solo dopo aver capito che travisavo, che ho scelto quel modello.
Ascoltavo
il Viaggio
a Reims,
la Matilde
di Shabran; il
Barbiere
di Siviglia
e Cenerentola
con
un orecchio troppo ironico, da "lettore"
contemporaneo: credevo scherzassero, perché a me divertivano. Ma scorrendo le recensioni coeve, per cui si
applaudiva ad un Otello
caucasico in quanto, con buona pace di William Shakespeare, “non è
credibile che una fanciulla veneziana, e di nobili origini, si
innamori di un negro”, mi son convinto che per davvero, dentro quei
palchi, e poi gli appartamenti tornando da teatro, abitassero persone
che si ammalavano, o si shoccavano, e cadeva preda di isteria, se
scambiavano un fazzoletto per un altro o sorprendevano l'amata/amato
con un abito diverso dall'usato.
Sintassi
esagerate per un'epoca che esagerava (e
si esagerava);
un'epoca ipocondriaca di svenimenti senza alcun sintomo. Di
reggimenti che in formazione napoleonica, e giubbe blu e calzoni
rossi in trincea, affrontarono i 400 proiettili al minuto delle
Vickers-Maxim.
Poi
si accorsero – increscioso! - che era finita la Belle Epoque...
Il
sense
of wonder degli
automi ed aerostati, di Caporetto combattuta con i mecha e i viaggi
sulla Luna a bordo di proiettili, non si ottiene soltanto con
paragrafi descrittivi della stazza e complessità di un Albatros
di
Robur; né basta un computer del secolo XIX a persuadermi che sto
guardando nel retroscopio steampunk; o a sospendere la mia
incredulità da un incipit di ingranaggi a un epilogo d'esplosioni:
mi occorre che i personaggi magnifichino
quel
delirio con l'enfatica coerenza di ogni loro enunciato. Se il mio
metro di paragone sarà il Volo su Vienna, la Grande Esposizione o le
miglia di Orient Express, come potrò non esprimermi per iperbole? Lo
facevano, nell'universo reale, al venticello
della
calunnia
che
tuonava in cannonate: figuriamoci in quest'altro spazio-tempo!
Lo
stesso Paul De Filippo ha compreso ed usato questo strumento
socio-culturale e stilistico dell'800: e in Vittoria,
per esempio
(se ben rammento: ma sto andando a memoria...) entra in scena
all'improvviso un criminale che non possiamo ri-conoscere, lì dov'è,
leggendolo da lettori contemporanei, ma è introdotto con
quell'articolo il
che nell'opera musicale annunciava il
Messaggero;
il Portatore della Lettera; il Giudice, Figlio Prodigo eccetera: che
entrava con enfasi e gesto risolutore; e che il pubblico del
melodramma riconosceva immediatamente e cui subito dava credito.
Un
credito eccessivo,
potremmo obiettare noi: non ci fumano le meningi; non ci palpitano i
cuori...
L'avvertimento di questa lingua molto sopra le righe otterrà lo stesso effetto della tecnica brechtiana. La "distanza" parodistica che le battute stabiliranno, fra personaggio e lettore, disporrà a un atteggiamento critico e analitico (degli stessi personaggi, della storia, l'ambientazione, dell'eventuale metafora che quest'ultime sottintendono): che è quanto mi interessa in uno steam che sia punk.
L'avvertimento di questa lingua molto sopra le righe otterrà lo stesso effetto della tecnica brechtiana. La "distanza" parodistica che le battute stabiliranno, fra personaggio e lettore, disporrà a un atteggiamento critico e analitico (degli stessi personaggi, della storia, l'ambientazione, dell'eventuale metafora che quest'ultime sottintendono): che è quanto mi interessa in uno steam che sia punk.