... e insomma, c'è questo fatto: ogni volta che ririvedo in tivù un film di Leone, mi vien voglia di scrivere un western. Cowboy, cappelli, pistole e saloon! Personaggi e linguaggio da incudine e pialla, dialoghi che esplodono come scariche di Winchester!... E allora, in attesa dell'uscita di "Anatoliy Volkov", di pareri su "Un Tempo Altrove", e in pausa forzata da progetti più corposi per sopraggiunti nuovi impegni professionali, oggi ho iniziato questo scherzo fanta-western. Date il benvenuto a un nuovo bad-ass: il pistolero psico-meccanico Zachary Tintoretto!
Il
vento lo accecò di pulviscolo di calíce,
rotolò le sterpaglie fin il cartello Stoneheaven. Il sole
arrossò di un torrido tramonto l'aguzzo campanile della chiesa
anabattista, le insegne degli empori, il bordello, il saloon e quelle
sordide catapecchie che si ostinavano a dire case.
Quel
tale di Touchstone lo aspettava laggiù, a un tiro di fucile
dall'ultima staccionata.
Zachary
si sfregò la faccia e gli occhi, la barba, dallo schifo di whisky
che gli aveva tirato addosso; si pulì dalla saliva, il tabacco,
dall'insulto vigliacco e cane, che gli aveva gridato contro
alla presenza di troppi.
Donne,
soprattutto, il gran figlio di puttana.
E
sì: gli bruciavano le parole, ma l'avrebbe anche risolta a cazzotti,
fosse stato un imbecille del posto; di quelli che il giorno dopo te
lo ritrovi allo stesso banco, gli strizzi l'occhio che gli hai
pestato e ci si scambia un goccetto.
Ma
no.
Capì
che la cagnara era soltanto un pretesto: quello, che lo adocchiava
già da inizio serata, aveva subito slacciato la fondina; gli aveva
inteso che lo aspettava di fuori e soffiato all'orecchio:
«…
e saluti da...»
Boh?
Non aveva capito, c'era chiasso nel bar. Uno stronzo prezzolato da un
altro stronzo per saldare un qualche conto di nessuna importanza.
Forse.
Se
però voleva un posto al cimitero, come i tanti che lo avevano
preceduto, Zachary Tintoretto lo avrebbe accontentato.
Scoprì
la medaglietta che portava appesa al collo: Maria Vergine scintillò
nell'imbrunire infuocato. La baciò con devozione tre volte, pregò a
Maris Stella; la tuffò nella flanella insozzata fra i peli
del torace e il cotone di canottiera.
Camminò
fin le propaggini della piccola città, si fermò quei dieci metri
dal tizio che si usano fra gentleman quando c'è da ammazzarsi: si
accorse solo allora d'avere il sole negli occhi, e che l'altro era
un'ombra sfocata controluce alla palla rossa che scendeva
all'orizzonte.
Ohcccazzo.
Si
sforzò di non strizzare le palpebre né di fare le smorfie. Non
volle dargli a intendergli di essere in svantaggio, ma il barbaglio
lo obnubilava:
«...
dopotutto»,
sputò nella polvere, «il
bastardo sa il fatto proprio...»
C'era
il trucco di perder tempo provocandolo a parole: dì, da dove vieni,
chi ti manda, pivello?; cosa credi di fare?; ti ha puzzato la vita?
Finché
il cazzo di sole si fosse spento nei canyon.
Quello,
però, rispose solo estrai.
Dio,
se è veloce!
Non
aveva sibilato la i che la Colt gli abbaiava già in mano: un colpo
lo centrò in una spalla, l'altro, ohcccristo, lo beccò dritto la
cuore.
Zachary,
chissà, gli aveva a malapena bruciacchiato una coscia.
Stramazzò
senza un grido, senza fiato per maledirlo, per piangere la mamma e
fare ammenda dei suoi peccati: quelli, okay, non gli sarebbe bastata
una notte, ma almeno... cinque sillabe d'aria per un perdono a Gesù.
Neppure.
E
non è vero che quando crepi c'è il dagherrotipo della vita, tremò;
da adesso sdraiato a terra nel sangue a quand'eri piccino, e ti
dicevano ch'eri buono e carino e mai e poi mai saresti uscito un
sicario, bounty killer, una pistola per il miglior offerente e uno
sozzo puttaniere e giocatore d'azzardo. Non c'è il ritratto in
seppia di quei giorni: c'è solo il cielo buio senza stelle tutt'un
tratto, e un freddo che neppure nell'Oregon e quel figlio di puttana
di Touchstone, che si avvicina per controllare se non fai finta e ti
pesta con il tacco questo squarcio nel petto.
Dio,
che dolore, grandissimo bastardo! Non fingo, sei stato bravo, m'hai
beccato per bene! M'hai steso, m'hai freddato, m'hai fottuto al
secondo colpo!
Non
tirartela, gallo: c'hai sprecato due cartucce. C'era polvere, ero
cieco e con il sole negli occhi.
Quello,
gli sputò sulla faccia un altro po' di kentucky, di alcool; di
parole che non comprese e sentì sul perché e sul per-come era
venuto a cercarlo. Alzò il tacco dal suo torace e si dissolse nel
buio, nel silenzio e nel gelo: manco un trillo di speroni, né la
cenere di un sigaro, né un odore di stallatico né un morello al
galoppo.
E
a Zachary, dopotutto, non importò più di tanto.
Con
la coda dell'occhio morto, a sinistra, nel niente, vide un tavolo da
hold'em
e due tristi giocatori. La cocotte
quattordicenne già incinta col fiocco azzurro coi gigli d'oro, le
spine di cactus le infilzavano il cuore; il
comanche allampanato
col costume da giullare.
Lo
guardarono con ribrezzo, tornarono sbadigliando alle carte sul
tavolo:
«...
e che cosa ci giocavamo?», lei chiese.
«La
pellaccia di quello là, ché è cattolico.»
L'indiano
gli puntò contro quell'indice scheletrito, e Zachary si accorse di
un asso nascosto in una manica dell'abito colorato:
«Hai
barato, pellerossa! T'ha fregato, ragazza!»
La
cocotte
spallucciò desolata, carezzò le grandi corna della cuffia del
comanche:
«...
lui deve
barare...»
«...
e me lo prendo!»
Lei
si trafisse d'un'altra spina di cactus, sospirò con gli occhi rossi
di lacrime a un cielo di luce bianca che profumava di rose. Si alzò
dal tavolino e... boh? Non c'era più.
«Muovi
il culo, Tintoretto: si va al fresco», il pellerossa lo apostrofò.
Zachary
sentì di spiccicarsi dal suo cadavere, lasciare agli sciacalli le
sue viscere e le sue ossa. Gli spiacque per gli stivali, il capello e
il cinturone che aveva lucidati poco prima di schiattare. Provò una
sensazione d'angosciosa leggerezza, anzi: di inconsistenza. L'indiano
gli ghignò, lo portò sottobraccio, e insieme barcollarono come
sbronzi.
«Non
prendertela a male, per quella carta nascosta: quando giochi con
Sweet Mary, o certi metodi o non la sfanghi.»
«C'era
un tizio, poco fa, al saloon, che abbiamo litigato e m'ha beccato nel
cuore. Mi ha fatto parecchio male. Sono convinto d'essere morto o mi
sbaglio? Quella, stesa là al becco degli avvoltoi, dev'essere la mia
buccia.»
«Ovvio,
che sei lì a tirar le cuoia, perder sangue e delirare: sei mica il
Lone Ranger. T'ho vinto all'hold'em e ti accompagno nel mio
tepee.»
«È
un sogno?»
«Ci
s'abitua. Hai ancora qualche istante di coscienza, di piscio e di
respiro.»
I
sensi gli tornarono alle cose materiali, rientrò nel suo cadavere,
si insozzò i pantaloni: e vide benché offuscata Stoneheaven e il
canyon che affondava nelle tenebre, il deserto e l'ultima diligenza,
e i cespugli trasportati dal vento e gli spettri degli alberi; tremò,
dissanguato, negli spifferi del tramonto. La polvere gli bruciò
nella gola, negli occhi. Il titinno di cartilagine dei serpenti a
sonagli, i latrati dei coyote che annusavano il pasto, gli colarono
ovattati dentro i timpani insabbiati.
Quella
striscia di fuoco e fumo che calò dal cielo nero. Quel botto,
lamadonna!, quell'esplosione di terra; quella nube di sabbia gialla
che l'avvolse e l'accecò. Il giullare comanche si dissolse
nello scoppio. Zachary lo guardò disintegrarsi imprecando,
bestemmiava parecchio; ne tirava di tali che lo fecero arrossire:
lui, certe empietà, non se l'era mai sognate. Si accanì con gli
artigli, non riuscì ad agguantarlo: sparì. Lui fu certo, in
qualche modo, che fosse
sceso di sotto.
Strepiti,
e fiamme, dalle propaggini del villaggio. Venne fuori dalla
nube quella cosa di metallo.
Non
aveva nessuna forma, era vuota, era fredda; gli strisciò sopra, gli
strisciò dentro, lo succhiò dalle narici, dalle labbra e la
ferita che zampillava. Gli prese l'anima dentro sé.
Appetito,
desolazione e vastità siderale; vuoto, secoli e decenni in una
tenebra sottozero. E implacabile fame. Sensazioni di un altro: che
neppure era cosciente di esistere; memorie di una macchina graffiate
e erose sul suo metallo. Provò quelle cose: il whisky, lo
sputo, il faccia a faccia, il proiettile, il bruciore e il dolore
cane si dissiparono nello spazio. Perse sangue per anni-luce e per
parsec, nel cosmo: benché che cazzo fossero i parsec, gli anni-luce
e tutto il resto... non riusciva ad immaginarlo.
Lo
seppe.
Gente
con teli e secchi si radunò da Stoneheaven; lui, la macchina, trottò
su qualche paia di zampe, appendici, tenaglie e protuberanze a
nascondersi dietro un masso.
Stette
fermo. Per quanto tempo? L'ore buie gli arrugginirono la corazza,
sentì di arroventarsi e soffocare di un nuovo sole; gli camminarono
gli insetti sopra e lo annusarono gli sciacalli.
La
cosa scricchiolò, si contrasse e dilatò. Ohcccristo, che dolore.
Formò qualcosa di metallo e di vetro che appannata si dischiuse al
deserto, poi si attorcigliò: somigliava ad un occhio dentro un tubo
di gomma. Zachary si guardò, vomitò quell'olio giallo che gli
bolliva negli ingranaggi: era ridotto ad un gomitolo di fil di ferro
con la crosta di ottone di un orrendo centipede; o no, cambiava
forma; un octopode di mercurio rappreso ma villoso di fil di rame; un
lumacone di anelli lucidi in una pozza d'icore. Quell'aborto di
toporagno coi coltelli per artigli. Dio, che arsura e male cane!
Riconobbe una gamba, una mano; una placca si ammaccò, si liquefece,
fino ad assomigliare alla sua faccia di prima. Si freddò
nell'espressione atterrita di quando le pallottole lo stesero
stecchito.
In
un amalgama di piombo fuso e di sabbia si formò tutto il resto. Gli
restò quella paresi da cadavere ammazzato, ma almeno era tornato un
cristiano.
Era
freddo, era vivo. S'alzò dritto su due piedi e le ginocchia e
godette di grattarsi i due coglioni, l'uccello, contò le dieci dita,
pisciò nero come petrolio del Texas e distese qualsiasi cosa avesse
adesso per muscoli.
C'era
solo il problemino che era nudo come un verme, d'un adamitico
cenerognolo che scintillava nel sole. 'Sto colore della pelle gli
scocciò, lì per lì; e però gli venne in mente che in giro c'erano
fetidi musi gialli sozzi negri e messicani.
Non
ci avrebbero fatto caso, a un incarnato d'acciaio.
Ma
andare in città com'era uscito dal ventre, con le chiappe agli
sculacci dell'aria fresca, del sole, l'orgoglioso alzabandiera per
ogni donna gli capitasse... quella, beh, era tutt'altra faccenda. Né
educato, né morale, né timorato di Iddio.
Soprattutto
non era armato.
«Quant'è
trascorso, che sono morto?»;
gli sovvenne ché là, a pochi passi da quei macigni, dove l'assito
di Stoneheaven si arrendeva al selvatico, c'era ancora probabilmente
qualche straccio dei suoi.
Fosse
stato fortunato.
Ma
le gambe non gli obbedirono, si impietrì lì dov'era. Una voce né
di uomo né donna, una lagna da rullo, da grammofono di organetto,
gli ronzò dentro i timpani e bruciò nel cervello.
Ho
ancora, un cervello?
«Vacci
piano, cowboy.»
«'cazzo
sei?!»
«Lo
sai benissimo.»
Prima
ancora di domandarlo: cretino, sei te!; o insomma era la
macchina, quella cosa precipitata, l'altro o l'altra che era lui da
che s'erano mescolati. Fu uno scambio di non-domande, non-parole e
non-risposte, conosceva senza aprir bocca e senza ammanco
pensare. Le ragioni sue e dell'altro gli trapanarono la testaccia.
«Dove
credi di andartene?!»
«C'ho
un conto da regolare.»
«Sei
il mio psico-carburante, nient'altro: rassegnati.»
«Ti
accorgi, che sono quello che ti fa dire io sono?!»
«Psico-riciclato
da un involucro dismesso.»
«T'ho
alzato, rottame; ti tengo in piedi con la mia faccia.»
«Com'è
questo pianeta, quant'è grande?»
«Da
New York a Los Angeles, fanno quasi tremila miglia.»
«C'avrò
bisogno di un sacco di psico-pieni.»
«C'ho
un sacco di bastardi da fare secchi per fare pari. E iniziamo da
Touchstone.»
«Ci si mette d'accordo.»
«Ci si mette d'accordo.»
(... continua ...)
Si può definirlo western onirico? Una estrema Frontiera per Tintoretto ...
RispondiEliminaSignora, sapete che è proprio il non riuscire a darmi definizioni che fa arrabbiare alcuni miei detrattori... ;-)
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