In arrivo su tutti i webstore il numero 4 di "Scritture Aliene", curato da Vito Introna, cui partecipo con il racconto E tutto brillerà di più. La rivista, con l'ottima cover di Ugo Spezza, contiene racconti di Tommaso Russo, Francesca Panzacchi, Angelo Curcio. Frank Detari, Luigi Bonaro e dello stesso Spezza.
... e insomma, c'è questo fatto: ogni volta che ririvedo in tivù un film di Leone, mi vien voglia di scrivere un western. Cowboy, cappelli, pistole e saloon! Personaggi e linguaggio da incudine e pialla, dialoghi che esplodono come scariche di Winchester!... E allora, in attesa dell'uscita di "Anatoliy Volkov", di pareri su "Un Tempo Altrove", e in pausa forzata da progetti più corposi per sopraggiunti nuovi impegni professionali, oggi ho iniziato questo scherzo fanta-western. Date il benvenuto a un nuovo bad-ass: il pistolero psico-meccanico Zachary Tintoretto!
Il
vento lo accecò di pulviscolo di calÃce,
rotolò le sterpaglie fin il cartello Stoneheaven. Il sole
arrossò di un torrido tramonto l'aguzzo campanile della chiesa
anabattista, le insegne degli empori, il bordello, il saloon e quelle
sordide catapecchie che si ostinavano a dire case.
Quel
tale di Touchstone lo aspettava laggiù, a un tiro di fucile
dall'ultima staccionata.
Zachary
si sfregò la faccia e gli occhi, la barba, dallo schifo di whisky
che gli aveva tirato addosso; si pulì dalla saliva, il tabacco,
dall'insulto vigliacco e cane, che gli aveva gridato contro
alla presenza di troppi.
Donne,
soprattutto, il gran figlio di puttana.
E
sì: gli bruciavano le parole, ma l'avrebbe anche risolta a cazzotti,
fosse stato un imbecille del posto; di quelli che il giorno dopo te
lo ritrovi allo stesso banco, gli strizzi l'occhio che gli hai
pestato e ci si scambia un goccetto.
Ma
no.
Capì
che la cagnara era soltanto un pretesto: quello, che lo adocchiava
già da inizio serata, aveva subito slacciato la fondina; gli aveva
inteso che lo aspettava di fuori e soffiato all'orecchio:
«…
e saluti da...»
Boh?
Non aveva capito, c'era chiasso nel bar. Uno stronzo prezzolato da un
altro stronzo per saldare un qualche conto di nessuna importanza.
Forse.
Se
però voleva un posto al cimitero, come i tanti che lo avevano
preceduto, Zachary Tintoretto lo avrebbe accontentato.
Scoprì
la medaglietta che portava appesa al collo: Maria Vergine scintillò
nell'imbrunire infuocato. La baciò con devozione tre volte, pregò a
Maris Stella; la tuffò nella flanella insozzata fra i peli
del torace e il cotone di canottiera.
Camminò
fin le propaggini della piccola città , si fermò quei dieci metri
dal tizio che si usano fra gentleman quando c'è da ammazzarsi: si
accorse solo allora d'avere il sole negli occhi, e che l'altro era
un'ombra sfocata controluce alla palla rossa che scendeva
all'orizzonte.
Ohcccazzo.
Si
sforzò di non strizzare le palpebre né di fare le smorfie. Non
volle dargli a intendergli di essere in svantaggio, ma il barbaglio
lo obnubilava:
«...
dopotutto»,
sputò nella polvere, «il
bastardo sa il fatto proprio...»
C'era
il trucco di perder tempo provocandolo a parole: dì, da dove vieni,
chi ti manda, pivello?; cosa credi di fare?; ti ha puzzato la vita?
Finché
il cazzo di sole si fosse spento nei canyon.
Quello,
però, rispose solo estrai.
Dio,
se è veloce!
Non
aveva sibilato la i che la Colt gli abbaiava già in mano: un colpo
lo centrò in una spalla, l'altro, ohcccristo, lo beccò dritto la
cuore.
Zachary,
chissà , gli aveva a malapena bruciacchiato una coscia.
Stramazzò
senza un grido, senza fiato per maledirlo, per piangere la mamma e
fare ammenda dei suoi peccati: quelli, okay, non gli sarebbe bastata
una notte, ma almeno... cinque sillabe d'aria per un perdono a Gesù.
Neppure.
E
non è vero che quando crepi c'è il dagherrotipo della vita, tremò;
da adesso sdraiato a terra nel sangue a quand'eri piccino, e ti
dicevano ch'eri buono e carino e mai e poi mai saresti uscito un
sicario, bounty killer, una pistola per il miglior offerente e uno
sozzo puttaniere e giocatore d'azzardo. Non c'è il ritratto in
seppia di quei giorni: c'è solo il cielo buio senza stelle tutt'un
tratto, e un freddo che neppure nell'Oregon e quel figlio di puttana
di Touchstone, che si avvicina per controllare se non fai finta e ti
pesta con il tacco questo squarcio nel petto.
Dio,
che dolore, grandissimo bastardo! Non fingo, sei stato bravo, m'hai
beccato per bene! M'hai steso, m'hai freddato, m'hai fottuto al
secondo colpo!
Non
tirartela, gallo: c'hai sprecato due cartucce. C'era polvere, ero
cieco e con il sole negli occhi.
Quello,
gli sputò sulla faccia un altro po' di kentucky, di alcool; di
parole che non comprese e sentì sul perché e sul per-come era
venuto a cercarlo. Alzò il tacco dal suo torace e si dissolse nel
buio, nel silenzio e nel gelo: manco un trillo di speroni, né la
cenere di un sigaro, né un odore di stallatico né un morello al
galoppo.
E
a Zachary, dopotutto, non importò più di tanto.
Con
la coda dell'occhio morto, a sinistra, nel niente, vide un tavolo da
hold'em
e due tristi giocatori. La cocotte
quattordicenne già incinta col fiocco azzurro coi gigli d'oro, le
spine di cactus le infilzavano il cuore; il
comanche allampanato
col costume da giullare.
Lo
guardarono con ribrezzo, tornarono sbadigliando alle carte sul
tavolo:
«...
e che cosa ci giocavamo?», lei chiese.
«La
pellaccia di quello là , ché è cattolico.»
L'indiano
gli puntò contro quell'indice scheletrito, e Zachary si accorse di
un asso nascosto in una manica dell'abito colorato:
«Hai
barato, pellerossa! T'ha fregato, ragazza!»
La
cocotte
spallucciò desolata, carezzò le grandi corna della cuffia del
comanche:
«...
lui deve
barare...»
«...
e me lo prendo!»
Lei
si trafisse d'un'altra spina di cactus, sospirò con gli occhi rossi
di lacrime a un cielo di luce bianca che profumava di rose. Si alzò
dal tavolino e... boh? Non c'era più.
«Muovi
il culo, Tintoretto: si va al fresco», il pellerossa lo apostrofò.
Zachary
sentì di spiccicarsi dal suo cadavere, lasciare agli sciacalli le
sue viscere e le sue ossa. Gli spiacque per gli stivali, il capello e
il cinturone che aveva lucidati poco prima di schiattare. Provò una
sensazione d'angosciosa leggerezza, anzi: di inconsistenza. L'indiano
gli ghignò, lo portò sottobraccio, e insieme barcollarono come
sbronzi.
«Non
prendertela a male, per quella carta nascosta: quando giochi con
Sweet Mary, o certi metodi o non la sfanghi.»
«C'era
un tizio, poco fa, al saloon, che abbiamo litigato e m'ha beccato nel
cuore. Mi ha fatto parecchio male. Sono convinto d'essere morto o mi
sbaglio? Quella, stesa là al becco degli avvoltoi, dev'essere la mia
buccia.»
«Ovvio,
che sei lì a tirar le cuoia, perder sangue e delirare: sei mica il
Lone Ranger. T'ho vinto all'hold'em e ti accompagno nel mio
tepee.»
«Ãˆ
un sogno?»
«Ci
s'abitua. Hai ancora qualche istante di coscienza, di piscio e di
respiro.»
I
sensi gli tornarono alle cose materiali, rientrò nel suo cadavere,
si insozzò i pantaloni: e vide benché offuscata Stoneheaven e il
canyon che affondava nelle tenebre, il deserto e l'ultima diligenza,
e i cespugli trasportati dal vento e gli spettri degli alberi; tremò,
dissanguato, negli spifferi del tramonto. La polvere gli bruciò
nella gola, negli occhi. Il titinno di cartilagine dei serpenti a
sonagli, i latrati dei coyote che annusavano il pasto, gli colarono
ovattati dentro i timpani insabbiati.
Quella
striscia di fuoco e fumo che calò dal cielo nero. Quel botto,
lamadonna!, quell'esplosione di terra; quella nube di sabbia gialla
che l'avvolse e l'accecò. Il giullare comanche si dissolse
nello scoppio. Zachary lo guardò disintegrarsi imprecando,
bestemmiava parecchio; ne tirava di tali che lo fecero arrossire:
lui, certe empietà , non se l'era mai sognate. Si accanì con gli
artigli, non riuscì ad agguantarlo: sparì. Lui fu certo, in
qualche modo, che fosse
sceso di sotto.
Strepiti,
e fiamme, dalle propaggini del villaggio. Venne fuori dalla
nube quella cosa di metallo.
Non
aveva nessuna forma, era vuota, era fredda; gli strisciò sopra, gli
strisciò dentro, lo succhiò dalle narici, dalle labbra e la
ferita che zampillava. Gli prese l'anima dentro sé.
Appetito,
desolazione e vastità siderale; vuoto, secoli e decenni in una
tenebra sottozero. E implacabile fame. Sensazioni di un altro: che
neppure era cosciente di esistere; memorie di una macchina graffiate
e erose sul suo metallo. Provò quelle cose: il whisky, lo
sputo, il faccia a faccia, il proiettile, il bruciore e il dolore
cane si dissiparono nello spazio. Perse sangue per anni-luce e per
parsec, nel cosmo: benché che cazzo fossero i parsec, gli anni-luce
e tutto il resto... non riusciva ad immaginarlo.
Lo
seppe.
Gente
con teli e secchi si radunò da Stoneheaven; lui, la macchina, trottò
su qualche paia di zampe, appendici, tenaglie e protuberanze a
nascondersi dietro un masso.
Stette
fermo. Per quanto tempo? L'ore buie gli arrugginirono la corazza,
sentì di arroventarsi e soffocare di un nuovo sole; gli camminarono
gli insetti sopra e lo annusarono gli sciacalli.
La
cosa scricchiolò, si contrasse e dilatò. Ohcccristo, che dolore.
Formò qualcosa di metallo e di vetro che appannata si dischiuse al
deserto, poi si attorcigliò: somigliava ad un occhio dentro un tubo
di gomma. Zachary si guardò, vomitò quell'olio giallo che gli
bolliva negli ingranaggi: era ridotto ad un gomitolo di fil di ferro
con la crosta di ottone di un orrendo centipede; o no, cambiava
forma; un octopode di mercurio rappreso ma villoso di fil di rame; un
lumacone di anelli lucidi in una pozza d'icore. Quell'aborto di
toporagno coi coltelli per artigli. Dio, che arsura e male cane!
Riconobbe una gamba, una mano; una placca si ammaccò, si liquefece,
fino ad assomigliare alla sua faccia di prima. Si freddò
nell'espressione atterrita di quando le pallottole lo stesero
stecchito.
In
un amalgama di piombo fuso e di sabbia si formò tutto il resto. Gli
restò quella paresi da cadavere ammazzato, ma almeno era tornato un
cristiano.
Era
freddo, era vivo. S'alzò dritto su due piedi e le ginocchia e
godette di grattarsi i due coglioni, l'uccello, contò le dieci dita,
pisciò nero come petrolio del Texas e distese qualsiasi cosa avesse
adesso per muscoli.
C'era
solo il problemino che era nudo come un verme, d'un adamitico
cenerognolo che scintillava nel sole. 'Sto colore della pelle gli
scocciò, lì per lì; e però gli venne in mente che in giro c'erano
fetidi musi gialli sozzi negri e messicani.
Non
ci avrebbero fatto caso, a un incarnato d'acciaio.
Ma
andare in città com'era uscito dal ventre, con le chiappe agli
sculacci dell'aria fresca, del sole, l'orgoglioso alzabandiera per
ogni donna gli capitasse... quella, beh, era tutt'altra faccenda. Né
educato, né morale, né timorato di Iddio.
Soprattutto
non era armato.
«Quant'è
trascorso, che sono morto?»;
gli sovvenne ché là , a pochi passi da quei macigni, dove l'assito
di Stoneheaven si arrendeva al selvatico, c'era ancora probabilmente
qualche straccio dei suoi.
Fosse
stato fortunato.
Ma
le gambe non gli obbedirono, si impietrì lì dov'era. Una voce né
di uomo né donna, una lagna da rullo, da grammofono di organetto,
gli ronzò dentro i timpani e bruciò nel cervello.
Ho
ancora, un cervello?
«Vacci
piano, cowboy.»
«'cazzo
sei?!»
«Lo
sai benissimo.»
Prima
ancora di domandarlo: cretino, sei te!; o insomma era la
macchina, quella cosa precipitata, l'altro o l'altra che era lui da
che s'erano mescolati. Fu uno scambio di non-domande, non-parole e
non-risposte, conosceva senza aprir bocca e senza ammanco
pensare. Le ragioni sue e dell'altro gli trapanarono la testaccia.
«Dove
credi di andartene?!»
«C'ho
un conto da regolare.»
«Sei
il mio psico-carburante, nient'altro: rassegnati.»
«Ti
accorgi, che sono quello che ti fa dire io sono?!»
«Psico-riciclato
da un involucro dismesso.»
«T'ho
alzato, rottame; ti tengo in piedi con la mia faccia.»
«Com'è
questo pianeta, quant'è grande?»
«Da
New York a Los Angeles, fanno quasi tremila miglia.»
«C'avrò
bisogno di un sacco di psico-pieni.»
«C'ho
un sacco di bastardi da fare secchi per fare pari. E iniziamo da
Touchstone.»
«Ci si mette d'accordo.»
«Ci si mette d'accordo.»
(... continua ...)
Gli
ultimi tre lavori cui mi sono dedicato (due racconti e una novelette)
sono scritti "su
commissione": il
primo, E tutto brillerà di più, per la rivista "Scritture
Aliene" curata da Vito
Introna; l'altro, M'rara, è il background di un progetto Sir
Chester Cobblepot di boardgame d'atmosfere lovecraftiane; Anatoliy
Volkov Commissario Politico è una scommessa (che spero di aver
vinta) con Diego Bortolozzo dei soliti tipi Imperium.
L'arte,
la poesia, la narrativa su commissione han da sempre una pessima
fama: oggi guardiamo con una certa freddezza quelle statue di Canova
che, a seconda del committente e i rovesci politici, celebrarono
un ideale o il contrario dello stesso. Le raccolte antologiche delle
Scuole Superiori, specie per i secoli dal XV al XVIII, ci insegnarono
a sorridere, con spocchioso disprezzo, delle liriche di occasione del
Marino, Parini, di Metastasio e di Monti.
Io,
che purtroppo non sono né un De Gongora né Da Ponte, devo ammettere
che questi tre lavoretti sono forse i miei migliori di sempre.... per
ora.
Viziato
dagli studi letterari, dalla retorica intellettuale e romantica,
anzi, Romantica, ho riflettuto su questo fatto e mi chiedo: davvero
la narrativa su commissione è il peggio che a un autore, che aspiri
all'A maiuscola, possa accadere di dover scrivere?
Soprattutto
la novelette mi ha convinto del contrario; mi ha persuaso
degli aspetti stimolanti dello scrivere su richiesta
qualcos'altro-da-sé; non necessariamente insincero o inconsistente.
Premessa
necessaria sull'origine del romanzo: trattandosi di un editore con
molti titoli ed autori in attivo, è necessario pianificare a lungo
termine le uscite di ciascuno: quali date? E quanti racconti, saggi e
romanzi nel corso dell'anno? I medesimi nomi troppe volte proposti, e
le stesse tipologie di prodotto, stufano sui webstore prima ancora
che in vetrina di libreria, trattandosi di un mercato più veloce e
con modi promozionali molto prossimi allo spam. C'è inoltre da tener
conto dei gusti del pubblico, che dimostra di apprezzare più i
romanzi dei singoli racconti o anche le antologie; idem –
trattandosi di narrativa di genere – che premia, più di altre,
certe storie, ambientazioni, certi tipi di personaggi.
Invece
di arrovellarmi, da quel pigro che sono, ho chiesto al responsabile
che cosa gli abbisognasse: la mia pagina di OpenOffice era pronta a
qualsiasi cosa.
Bortolozzo
mi ha dato dei precisi paletti:
avendo già all'attivo per il 2014 un saggio, un racconto e una silloge c'era solo uno slot libero per qualcosa di più corposo;
di genere fantascienza militare, ché è quella che preferisce e ha abbastanza riscontro;
ambientata nella II Guerra Mondiale, periodo altrettanto gettonato, ma...
... vista dalla parte dei Russi: ché di Rangers, Marines eroici, Nazisti spietati & pazzi o indomiti Commandos francamente ne abbiam piene le scatole.
avendo già all'attivo per il 2014 un saggio, un racconto e una silloge c'era solo uno slot libero per qualcosa di più corposo;
di genere fantascienza militare, ché è quella che preferisce e ha abbastanza riscontro;
ambientata nella II Guerra Mondiale, periodo altrettanto gettonato, ma...
... vista dalla parte dei Russi: ché di Rangers, Marines eroici, Nazisti spietati & pazzi o indomiti Commandos francamente ne abbiam piene le scatole.
Chi
mi segue sa che non disdegno le armi, scrivere di battaglie né
"l'effetto
Vincenzoni";
ma preferisco la fantascienza di carattere sociologico alla W.A.R.
di Tonani. E sa anche che aerostati, biplani ed armi bianche mi
piacciono di più di carri armati e di mitra Thompson; che evviva i
grandi Imperi Centrali ma abbasso quei noiosi del Terzo Reich...
eccetera.
Si
trattava, perciò, di calarsi in tutt'altro contesto. E qui, francamente, bastava
poco per essere originali.
Come
il solito, ho cominciato dalla Storia: okay, il conflitto '39-'45;
okay, l'Armata Rossa, ma... sempre Stalingrado, Berlino; Il
nemico alle porte?
Sempre la Svastica vs Falce & Martello? Sempre medium comunisti
contro ariani satanisti? Uff. Mi pare che di stahlhelm
e di panzerdivisionen
se ne leggano anche troppe, su certe pagine di SF.
Quindi
ho optato per un conflitto minore che pure ha la sua epica, nella
storia della Seconda Guerra Mondiale: la cosiddetta, breve Guerra del
Nord fra U.R.S.S. e Finlandia. Magari il "grande
pubblico"
non ne conosce i dettagli: ma i cecchini finlandesi su sci in
uniforme mimetica bianca, che apparivano e svanivano come spettri fra
le betulle e facevano strage degli ufficiali sovietici, sono entrati
nel mito.
Potevano
funzionare, come cattivi "di primo livello" sostitutivi i militari nazisti.
C'era
ancora bisogno, però, dell'elemento fantascientifico: e ho scelto di
mettere da parte i triti e ritriti esperimenti nei bunker, la
genetica ante-litteram, reggimenti di zombie, di cloni, di cyborg o
di scimmie intelligenti; i prototipi di armi “ti tistruzione ti
monto”, l'occulto alla Hellboy,
e quant'altro
seppellito negli archivi del KGB.
Ho
optato per un classico più aperto a sviluppi: un UFO precipitato,
dobbiamo recuperarlo! Però ho stratificato su questo tema
l'invenzione che l'UFO non viene dallo spazio, bensì dal Polo Nord;
e l'equipaggio (i cattivi "di secondo livello") ha diritto di definirsi terrestre quanto (se non di
più) noialtri protagonisti e/o lettori del romanzo... benché molto,
e molto orrendamente, diverso dall'umano....
Vi
fa pensare alle Montagne della
Follia; alla Cosa;
a quella storia di
Martin Mystère con i poeti elisabettiani in Antartide? Bravi. Sono
convinto che la scrittura "di
genere"
debba sempre strizzare l'occhio ai successi che l'hanno preceduta:
l'ultimissimo capoverso del romanzo, lo ammetto, lo leggerete - chi se
n'è accorto ha vinto la caramella - è un esplicito palese omaggio a
quell'opera di H.P.L.
«Ma
quanto ne sapevi, tu, di Armata Rossa e di Guerra del Nord? Quanto
hai s(t)ud(i)ato per scriverne?!»
Poco. Quel che bastava a scegliere come eroe protagonista un
cazzutissimo Commissario Politico; il cui profilo ideale, per altro,
mi viene dai Commissari della Guardia Imperiale di Warhammer 40.000
piuttosto che personaggi come Danilov Politruk. Perché so che è
così che il pubblico lo immagina se metti insieme due cupe, militaresche parole quali
commissario e politico. E l'ho
chiamato Anatoliy Volkov perché erano i due suoni che mi essudavano
più tovarichtudine, badassismo e salomonkaneaggine che ho trovato fra i nomi russi sui siti dedicati.
Spero che al lettore facciano lo stesso effetto.
L'hobby dei wargame, e le letture di militaria, mi han fornito
dell'army list
dell'esercito sovietico nella guerra con la finlandia: squadre di
fucilieri con a capo sergenti, equipaggiati di fucili Mosin-Nagant e
mitragliatrice leggera Degtyaryov;
dodici soldati trasportati su camion GAZ.
Non serve più di tanto, a questi dodici personaggi: il resto lo faranno i mmmilioni di film, di foto e documentari che il lettore ha già visto. Come sempre, nel nostro sozzo lavoro, l'immaginario collettivo lavora gratis per noi.
Dodici ragazzi cui trovare un cognome russo: per certe cose non c'è di
meglio che Google.
Per
i luoghi, come il solito, poiché non sono uno che ha viaggiato,
adotto il metodo di Emilio Salgari e mi affido all'atlante: tutta la
Carelia di Anatoliy
Volkov;
Porosozero, e i laghi di Joensuu, stanno in una carta di un De
Agostini da Scuole Medie. Idem fusi orari, temperature e altre cifre
da calendario e termometro: ho sempre condiviso la convinzione che
l'arte (sì, vabbé...) debba riuscire ad essere "più
vera del vero":
e spero che le mie nevi, le mie notti polari, e i boschi di betulle
che non ho mai veduti, riescano al lettore vividi e credibili; che lo
confermino in ciò che immagina, teme e fantastica
di certi posti, più che in ciò dettano le sue nozioni di geografia.
Ché altrimenti: a che serve la narrativa fantastica?!
Ci
sono, in ultimo, quei dettagli da spargere qua e là che fanno la
differenza fra un set di guerra qualunque e un set di guerra in
Unione Sovietica nel 1939: la marca, per esempio, di un orologio da
polso; il ritratto di quell'attrice
in guepiere appesa alla parete del dormitorio in caserma; i nomi dei
politici sulla bocca di tutti; il gergo, i nomignoli. Le ricerche di
questo genere
sono molto divertenti; sono l'emet di quell'ammasso di fango che
altrimenti sarebbero le vostre pagine scribacchiate: non avessi mai
scritto la novelette,
non saprei che la Degtyaryov la chiamavano giradischi
a causa della forma del caricatore che ricordava un disco in vinile e
di come girava quando l'arma sparava; non saprei che i finlandesi
bestemmiano perkele!...
«Ma
insomma, Forla'! Facce vedè l'alieno, faccelo toccà !»
Questo
è stato, probabilmente, l'aspetto che nonostante la commissione mi
ha dato più libertà di inventare... oppure, potremmo dire, proprio
perché sa che inventi certe cose, le apprezza, il committente si
affida a te e non un altro; corre i rischi dei contenuti
"ideologici",
personali e stilistici propri dell'autore cui chiede la prestazione.
È
questo il
bordo pagina dove, nonostante i paletti, apporrete la vostra firma.
Imparata la lezione di Leonardo da Vinci, di Bosch, che creavano i
loro mostri da collage di animali comuni, ho ridotto i miei
"extraterrestri"
a....
Ehm,
no: su questo punto non posso proprio spoilerare, mi spiace! Come
sempre, vi invito a guardare alla forma, alla natura dell'abominio,
in un'ottica allegorica.
A
guardarvi allo specchio.
Edited by K.D.. Powered by Blogger.
Mini-bio
- Alessandro Forlani
- sedicente scrittore, è nato negli anni '70 del XVII secolo, si è reincarnato nel XIX, nel XX e millenni a venire. Nerd, negromante, roleplayer e autore "difficile" di racconti fantastici. Di giorno si impaluda da docente universitario e ciacola di sceneggiatura, cinema e scrittura; di notte, che dovrebbe far l’artista, piuttosto guarda film, legge fumetti, ascolta musica barocca, gioca a soldatini e poi va a dormire. Perché crede che sia più sano scrivere in questo modo.
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