Duello al R'lyeh Corral
di
Lorenzo Davia
11:30
La
cosa più misericordiosa al mondo è l'incapacità della mente di
ricordare le cose che si sono fatte da ubriachi. Fu così che, come
ogni volta dopo aver fatto sesso da ubriaca, Fata Mysella si svegliò
con un tremendo mal di testa, uno strano sapore in bocca, in una
camera da letto sconosciuta e con una compagna di letto altrettanto
sconosciuta.
Tentò
di muoversi, ma qualcosa le bloccava l'ala e il braccio sinistro.
Dischiuse lentamente gli occhi. La luce le assalì il sistema
nervoso, facendole martellare il cervello. Appena il dolore scemò,
rivolse l'attenzione alla persona con la quale aveva passato la
notte.
Era
una donna e stava dormendo.
–
Buongiorno – le mormorò dolcemente Mysella all'orecchio.
Un
gorgoglio animale uscì dalla gola di quella.
–
Buongiorno – ripeté Mysella, con un tono di voce più deciso,
cercando di spostare il braccio e agitare l'ala.
La
donna continuava a dormire.
–
E allora vaffanculo! – esclamò, e facendo leva con la gamba contro
la parete, scaraventò la tizia giù dal letto.
Un
tonfo sordo e un "Buongiorno" impastato salì dal
pavimento.
Mysella
si sporse dal letto: – Avrei bisogno di fare la doccia.
Uscì
dieci minuti dopo lavata e profumata. L'altra ancora dormiva, distesa
sul pavimento. Guardò l'orologio e le venne un colpo. Undici e
trenta. Aveva solo mezz'ora di tempo.
–
Devo scappare, ci risentiamo.
Sì
certo, come no.
21:00,
la sera prima
La
riunione avvenuta la sera prima era stata noiosissima. Nella vecchia
taverna "Alla Casa Sfuggita" aveva incontrato un gruppo
composto da vecchi professori universitari, artisti nevrotici e
schizzati vari.
–
Non ne possiamo più di vederlo passare ogni giorno per la nostra
cittadina – si era lamentato un certo William Dyer, docente di
geologia.
–
È una vergogna, dopo quello che hanno fatto al povero Danforth –
disse Legrasse, indicando uno degli schizzati, rannicchiato sulla
sedia e con lo sguardo vacuo.
–
Fosse solo la pazzia! Avete idea di quanta gente è stata uccisa da
questi mostri o dai seguaci dei loro culti? – disse il signor
Thurber.
–
Insomma! – esclamò Mysella battendo la mano sul tavolo, facendo
trasalire tutti quanti. Assunse un tono più rilassato. – Chi devo
ammazzare?
–
È un orrore innominabile – le rispose qualcuno.
–
Va bene, ma che aspetto ha?
–
È un orrore indescrivibile – le rispose qualcun altro.
–
Sì sì – disse un terzo – ma quel pittore, quel Pickman, non fa
altro che dipingere lui e i suoi amici!
–
Se non ci fossero alcune famiglie, – disse il poliziotto Legrasse,
– come i Marsh o i
Jermyn, che lo sostengono, o certi individui, come quel Pickman,
come il dottor West o Wilbur
Whateley, che ci guadagnano dalla sua presenza, nemmeno avremmo un
simile mostro per le nostre strade!
La
fata sbuffò: – Insomma come faccio a riconoscerlo?
Le
fornirono uno schizzo, non di lui, le dissero, ma del suo genitore.
–
Ma sono identici – le disse il signor Wilcox, scultore. – Solo
che il suo genitore è molto più grande.
Lo
schizzo raffigurava una creatura grassa e flaccida dalla testa di
polipo e dalle ali di pipistrello, seduta sopra un trono di pietra.
–
Quanto è grande?
–
Una decina di metri
–
E il suo genitore è ancora più grande?
–
Sì, ma di lui non ti devi preoccupare. Dorme sempre.
Fata
Mysella si chiese come uccidere quella creatura. Armi da fuoco e da
taglio erano inutili, le avevano detto. Smembrarlo non serviva
niente. Si ricombinava nella forma originale.
–
Ci tenete alla vostra cittadina?
–
Ma certo! Siamo nati e cresciuti a Lovecraftville, e detestiamo
vedere simili cose camminare per le nostre strade.
Msyella
escluse quindi l'uso di un ordigno termonucleare.
–
Ci penserò con calma. Nel frattempo, dove posso andare a bere
qualcosa e, come dire, fare un po' d'amicizia?
12:00
All'interno
del recinto elettrificato, gli shoggoth mugghiavano.
Mysella,
con le ali che frustavano l'aria per ventilarsi nel caldo di
mezzogiorno, fissava gli orrori che si agitavano nel corral.
A
mezzogiorno in punto, apparve il suo bersaglio, sceso nella zona dei
recinti per vedere come stavano le sue bestie.
Msyella
deglutì. Era peggio di quanto si fosse immaginata. La creatura
torreggiava tra le case georgiane sfiorandone gli abbaini mentre
camminava. Sotto la pelle squamosa si indovinavano possenti muscoli.
Piccoli occhietti rossi irradiavano odio dal folto dei tentacoli.
Sulla testa a punta, le pelle tesa era quasi trasparente lasciando
vedere il pulsare delle vene.
Al
braccio sinistro portava uno scudo, sopra il quale erano legati tre
magri notturni, storditi e incattiviti dalla luce del sole. Ciascun
magro aveva un fucile tra le braccia. La creatura, col braccio
destro, trascinava una motosega di dimensioni proporzionate al
proprietario. Unico indumento, una cintura porta-attrezzi.
Fata
Mysella si portò al centro della via.
–
Ehi, mollusco! –
gridò – invece di spaventare i bravi e onesti cittadini di
Lovecraftville, perché non ti dedichi ad altro? Per esempio, con
quei tentacoli, potresti sfondare nel porno!
Il
mostro ruggì. Sollevò il braccio sinistro, riparandosi dietro lo
scudo. Avviò la motosega. I magri notturni puntarono i fucili su
Mysella.
Più
veloce, Mysella prese la pistola e sparò. Colpì la corda che legava
i magri, che si ruppe liberando le creature. I magri lasciarono a
terra i fucili, distesero le ali e fuggirono in cerca di un riparo
dalla luce del sole.
Il
mostro ruggì di nuovo, e iniziò a correre verso Mysella, brandendo
la motosega come fosse una spada.
Fata
Mysella era convinta della sua sincerità nel volerla uccidere.
11:40
Uscì
dalla casa della donna che mancavano venti minuti a mezzogiorno.
Aveva poco tempo. Si trovava in un labirinto di stradine ripide e
tortuose, nella parte più antica e corrotta di Lovecraftville. Prese
dalla tasca il biglietto con l'indirizzo. Raggiunse volando veloce
l'edificio. Salì i gradini consunti affiancati da una ringhiera di
ferro arrugginito e si fermò davanti alla porta d'ingresso
georgiana. Aveva l'impressione che qualcuno la spiasse da dietro le
finestre dai vetri romboidali. Il batacchio sulla porta era una
lingua di bronzo che scendeva da un volto diabolico e dalle lunghe
corna. Afferrò la lingua e la batté sulla porta. L'uscio si aprì,
rivelando un quarantenne calvo dalla gentile e coltivata urbanità .
–
Il signor Forlani?
–
Sono io. Buongiorno.
–
Buongiorno. Mi hanno
riferito che lei è un esperto riguardo i Grandi Antichi.
L'uomo
parve esitare. – Non parliamo qui di queste cose: entri, per
cortesia.
La
condusse nel suo studio, una biblioteca traboccante di libri vecchi e
ammuffiti dall'umidità . Alcuni volumi erano esposti su dei leggii.
–
Avrei la necessitÃ
di uccidere un rappresentante della progenie stellare. Lei cosa mi
consiglia? – chiese con tono disinvolto, come se chiedesse un
consiglio a una commessa su come le stava un vestito.
–
Guardi che so
benissimo chi è lei: l'hanno reclutata per liberarsi del membro
della progenie stellare che vive nella nostra città .
–
Mi lasci indovinare: lei non ha intenzione di aiutarmi, vero?
–
Sono amico di
vecchia data dei Marsh e dei Jermyn, e li aiuto nelle loro pratiche,
più antiche di quelle dette peccaminose. Inoltre studio da anni, in
cosmica e abissale solitudine, la schiacciante antichità dei culti
proibiti, e la mia fedeltà ai Grandi Antichi trascende ormai questa
mia carne mortale, estendendosi anche alle mie future putrefazioni
tombali.
Mysella
annuì, come sconfitta. Si avvicinò a un leggio, dove stava un tomo
dalla voluminosa copertina di cuoio e dai fermagli di ottone. Lo
sfogliò guardando distratta i repellenti diagrammi e il testo in
latino corrotto.
L'uomo
si materializzò alle sue spalle. – Quello è il Necronomicon. Stia
attenta perché con esso può venire a conoscenza dei folli gorghi
interstellari che portano alla pazzia.
Mysella
chiuse il libro. Afferratolo con entrambe le mani ruotò su se stessa
e lo usò per colpire l'uomo al petto. Il Forlani volò sul tavolo al
centro della stanza. Mysella lo colpì con il libro sullo stomaco.
L'uomo scivolò a terra. Lo colpì alla schiena. Ripetutamente. Gettò
poi il libro alle proprie spalle. Sollevò l'uomo e lo mise a sedere
su una delle sedie. Trovò un mobile con dei liquori dentro e ne
riempì un bicchiere pieno, che porse all'uomo. Il Forlani lo prese
con mano tremante e lo bevve tutto in un sorso.
–
Di
nuovo. Come uccido uno della progenie stellare? E questa volta, se
non me lo dici, ti ficco tutte le mille colonne di Y'ha-nthlei
su per il culo.
12:05
Balzò
via un attimo prima che il mostro la colpisse con la motosega. Rimase
sospesa in volo sopra di lui giusto il tempo necessario per scoprire
dove teneva quello che le serviva. Si tuffò alle spalle della
creatura, e le sfilò il telecomando dalla cintura. Saltò di nuovo
per evitare un altro fendente, e si diresse in volo verso il recinto
degli shoggoth.
Identificò
il capobranco e atterrò sulla sua groppa. Iniziò a sprofondare
nella massa gelatinosa composta da grumi d'incubo assoluto, mentre
decine di malvagi occhietti viola si aprivano sul dorso dello
shoggoth e la fissavano interrogativi.
Affondò
la mano destra nella "testa" della creatura, stabilendo un
debole contatto telepatico. Con la mano sinistra premette un pulsante
sul telecomando e disattivò il recinto elettrificato.
I
cancelli si spalancarono vomitando ondate di shoggoth sulla strada.
Il primo shoggoth che raggiunse il figlio della progenie stellare
venne tagliato in due dalla motosega. Ben presto però gli shoggoth
circondarono la creatura e iniziarono a divorarla, strappandole prima
gli arti, passando poi alla carne del corpo, lasciando per ultima la
testa urlante.
Finito
di dar da mangiare alle bestie, Mysella le ricondusse all'interno del
recinto. Riattivò la corrente e volando tornò sulla via.
Gli
abitanti di Lovecraftville che l'avevano assunta erano là per
applaudirla, i visi più sereni e rilassati.
–
Per prima cosa –
disse loro – i soldi. Secondo, una doccia, che mi devo lavare via
'sta sborra di shoggot.