Luca
parcheggiò l'heliomobile nella piazza del "Boldini"
già gremita di alieni: klingon, yautja, dalek e siloni in
abiti terrestri del XX secolo. Kleeta squittì, spalancò la
portiera, si tuffò fra la folla all'ingresso dell'edificio:
«Aspettami,
cazzo!», lui le sibilò, «lo sai che mi imbarazza e non conosco
nessuno!»
Ma
già la fidanzata abbracciava un necromonger, e macchiava di rossetto
l'armatura di un cyberman; e si stringeva per un'olofoto ricordo a un
gruppetto di ewok in costume da manager:
«...
giacca, cravatta, rolex e mocassini: perfette riproduzioni!», Luca
sbigottì di tanto spreco imbecille di cura per il dettaglio, di
tempo e di denaro, «ci hanno speso, di sicuro, centinaia di lactei»:
non si sarebbe abituato mai, all'hobby cosplayer.
Sbatté
la mano aperta sul tettuccio dell'heliomobile, e i sensori di
sicurezza riconobbero le sue cellule: attivarono gli antifurto e
serrarono gli sportelli.
Poi
restò là , con le braccia conserte, ad attendere che Kleeta
salutasse gli amici, si ricordasse che c'era lui, l'accompagnasse per
la convention, decidesse di andarsene il più presto possibile.
Un
tizio in anti-scooter gli atterrò quasi addosso, alzò la visiera e
guardò dritto a lei:
«Cos'è,
la tua ragazza?»
«...
parrebbe...»
«Ãˆ
vulcaniana, eh? Che culo, c'hai avuto: gran fiche, quelle lì. E più
calde delle spagnole e cubane. Io, purtroppo, sto con una di Romulus:
frigida, praticamente... ma ormai sono otto anni, e si sa:
l'abitudine... Siamo stati dei gran coglioni», il tizio sospirò, «a
immaginarceli in un certo modo. Era tutto sbagliato.»
«Non
leggo ottuscienza» Luca schiarì la voce, e sperò che la
conversazione si arenasse e finisse lì.
«Va
là , ché la sai lunga», il tizio ammiccò; gli strizzò i genitali
e partì con l'anti-scooter.
«...
Imbattersi in sciroccati in un posto da sciroccati...»;
lui sopportò.
Kleeta
alla buon'ora lo chiamò dall'ingresso, sventolò soddisfatta due
biglietti digitali, insistette che si sbrigasse: e tenendosi per mano
entrarono nel teatro.
L'insegna
olografica Galacticon Forty-Six - Convention di Ottuscienza -
Ferrara, 7-9 Ottobre 2053 illuminava di luce laser
l'entusiasmo della folla; gli ologrammi di astronave, improbabili e
vintage, solcavano i soffitti dei locali del festival.
Luca
e la fidanzata passeggiarono fra gli stand: gazebo, bancarelle, e
cabine di augmented reality, dedicate a vecchie serie, romanzi e
fumetti di traveggole terrestri sulle razze dell'universo.
Due
giovani borg, griffati Versace, ghignavano di ridicolo allo stand di
Star Trek, rivedendo gli episodi di The Next Generation:
«...
sono le due puntate che ti
mancano ed ho io»,
godevano a punzecchiarsi, «io
te l'ho detto, che
era come era parso a me:
i migliori episodi che riguardano la nostra specie...»
«...
ma i miei
olo-vd sono special edition; e prima ho guardato le puntate che mi
parevano...»
Luca
li spernacchiò per quell'enfasi nei pronomi, un eccesso di
deodorante e l'invincibile spocchia. Kleeta lo azzittì, gli soffiò
nell'orecchio:
«...
siete voi
che vi inventaste
della Mente Alveare: altroché collettivisti; sono i narcisi
dell'universo!»
Lui
ne arrossì, la seguì in un'altra sala: un cinema-teatro di almeno
cent'anni prima adattato per la convention a conferenze ed
esposizioni.
L'Assessore
alla Cultura del Comune di Ferrara, in imbarazzo su un palcoscenico,
con in mano un microfono, ringraziava i partecipanti per la grande
affluenza; cedeva la parola ad una tavola di scrittori che aprivano
il dibattito sull'Ottuscienza
in Italia: dagli Anni '50 all'Età del Contatto.
Gli
alieni gorgogliarono di ilare tenerezza al racconto di come,
nel recente passato, gli scrittori terrestri recepissero,
inconsapevoli, i messaggi telepatici che attraversavano lo
spazio-tempo destinati all'umanità del XX secolo; e li avessero
tradotti in assurde fantasie. Non erano invenzioni loro, era tutto
reale: dalle uova di xenomorfo fin i granchi di Yuggoth.
E ne
avevano tratto delle storie sballate, e guastate di pregiudizi, di
informazioni comprese male, e trasmesse persino peggio ad un pubblico
di creduloni: guerre, malvagità , impossibili tecnologie; incubi
sociologici ed ossimori biologici.
La
chiamavano fantascienza, ed
era un cumulo di qui-pro-quo.
E
l'origine di equivoci imbarazzanti e pericolosi come il credere saggi
quegli ebeti dei jedi; l'atterrire di truppe i mansueti klendathu.
Per
l'uomo fino all'anno 2037, quando finalmente le razze si
incontrarono, dialogarono, scambiarono conoscenze; e finirono persino
a letto e convivere, come Luca con Kleeta da ormai qualche mese,
scrittori come Verso, Tonani o Morellini, Catani e Masali, Versace e
Mongai, erano nient'altro che talentuosi raccontaballe dall'ingegno
profetico. Piuttosto erano sordi, con l'ipofisi ovattata;
autori di volumi di colpevole ottuscienza.
Gli
alieni, se non altro, la trovavano divertente. In occasioni come
Lucca o Ferrara, convention a Roma, Milano e Trieste, imitavano
l'umanità che li sognò così strani: fingendosi commesse,
teen-ager, operai, impiegati ministeriali ed autisti di taxi.
Luca
si ritrovò, nel vagare fra i tavoli, ad un crocchio di vulcaniani
mascherati da muratori: le tute, le scarpe, le cazzuole sporcate ad
arte e lo "Shirkahr
Express"
piegato per cappello.
Con
Kleeta, di nuovo, tutt'un bacio ed un abbraccio; lacrime e voce rotta
e singhiozzi di commozione.
E
mani di questi amici fin sul culo di lei perché, si capisce, da
quant'è che non ti vedooo?! Stai benissimooo!, sentiamociii! Ciaooo!
Ci si rivedeee!
E quei discorsi del rompiballe
con l'anti-scooter sulle frigide romulane e gli ormoni dei
vulcaniani. E sull'avere sbagliato tutto,
a proposito di
extraterrestri.
Luca
si intromise, e gli alieni si presentarono: tre nomi impronunciabili
riassumibili in k
ed u.
Si
lasciarono allo stand dedicato a Star
Wars fra i flutti di
pubblico in fila ai due mezzi: gli umani per entrare nell'abitacolo
di un X-Wing; le altre razze della Via Lattea per salire su una
ruspa.
Lui
sorrise di quell'Etereo e rugoso Tau che strillava come un bambino
ché gli lasciassero le due leve.
Si
accorse che Kleeta, sulle punte dei piedi, ancora guardava nella
ressa eterogenea ai cosplayer del suo pianeta. Finché non
scomparvero:
«...
e chi erano?»,
arricciò le labbra, «Amici
cari? Me ne hai parlato?»
Lei
si imporporò:
«Shuktùruk,
quello figo... in effetti... è il mio ex. Lavora con mio padre alle
cave su Vulcano. Gli altri, i suoi colleghi, li conosco di vista.»
«Sarebbero
dei cavapietre?!»,
Luca trasecolò, «Vengono
sulla Terra da diciassette anni-luce, solo per i tre giorni di un
festival di ottuscenza... e
si travestono da muratori?!»
«Non
mi aspetto che tu capisca, terricolo»,
Kleeta si irrigidì, «Questa
intera convention,
guardacaso...»
«Che
cosa?!»
Terricolo,
fra loro, era il prologo ad una lite.
Luca
inghiottì la rabbia, la stizza per quel Shuktùruk: si impose di non
guastare un pomeriggio già assurdo trascorso ad aggirarsi in una
sala di mostri; felici di imitare le bassezze e fatiche da cui, nei
week-end, si sperava di evadere.
«Mattoni
qui sulla Terra e lapidi su Vulcano. Non so se l'universo è
circolare e finito: per terrestri ed alieni, di sicuro, non se ne
esce. Ma almeno voi umani ci provaste»; Kleeta scosse il capo
divertita, e si passò le dita esili e brune fra i capelli antracite,
«ci illudeste per qualche
tempo di poter essere straordinari. Siete stati romantici.»
Lui
guardò, a quella folla in costume, fra antenne e proboscidi ed ali e
tentacoli; elitre e branchie e pinne ed artigli. Stretta in sudari di
jeans e di blazer e Nike e t-shirt e mimetiche e anfibi.
Broker,
insegnanti, piedipiatti e studenti. Cuochi e politicanti, portaborse
ed edicolanti: i medesimi mestieri che svolgevano sui loro mondi. Da
cui però non avevano mai guardato ad orride stelle e magnifiche
galassie, lo sapevano com'era: un infinito lunedì mattina. Non
avevano mai sperato che accadesse altrimenti.
C'era
invece quel pianeta, altrove nell'universo, abitato da creature molto
ingenue ed infantili: che avevano sperato, in un lontano futuro, di
accendere con i phaser il grigiore dei giorni.
Avrebbe
potuto essere emozionante,
se a proposito dei terrestri si fossero sbagliati: ma non c'erano
sospetti su ammiragli di astronave; non c'erano supervillain o
talenti del Male; né alcuna divinità cieca & idiota nel cosmo.
Solo
un sasso d'acqua e nubi colorato di azzurro.
«...
voi umani ciò nonostante scherzate; e raccontate baggianate su
Helion e persino, dopo il 1999, sui percorsi fuori orbita di un'unica
luna. Ve n'è rimasta soltanto una, delle due che avevate; ce l'avete
sotto gli occhi ogni notte: e lo stesso vi entusiasmaste per quella
fola. Ma come ci riuscite, a spassarvela a questo modo?»
Quanti
brividi, loro, ci avevano regalato! E noi non avevamo corrisposto.
Uscirono
a respirare su una terrazza di galleria. Luca si intristì dello
spettacolo di uno yith che in cappello e giacchetta lisa, con un
cartoccio di arachidi, giocava al pensionato sdraiato su una
panchina: i piccioni beccavano indifferenti all'iridescenze e il
puzzo extragalattico dei tre metri di mostro.
«Non
fosse inumano... un vecchietto perfetto.»
L'essere
guardava al cielo limpido, vuoto; strombazzava di goduria dagli
orifizi rugosi:
«Urca
che cosplayer! Com'è immedesimato! Dì, secondo te: che cosa sta
guardando?»
«Non
leggo ottuscienza; non so»,
lui ripeté.