Recensione apparsa il 14 febbraio u.s. sul blog Indice di Lettura
Mark Neocleous
ha efficacemente mostrato come la metafora del vampiro sia tra quelle piĆ¹ amate
da Marx nel configurare il rapporto tra capitale e lavoro vivo; il capitale
ipoteca il futuro e continua ad alimentarsi come un parassita delle energie del
proletariato presente e futuro; specularmente le sue vittime continuano a a
soffrire, i loro lamenti di prigionieri risuonano nella marcia demoniaca della
riproduzione allargata. Contro ogni rappresentazione apologetica del capitale
come cosa viva da contrapporsi alla morta rendita, esso si deve rappresentare
appunto con le immagini piĆ¹ oscure, desunte dalla letteratura gotica e popolare
vittoriana.
Ho trovato una immagine meravigliosamente
plastica, potente, lucida, di questa visione ricorrente del Capitale nel
romanzo di Alessandro Forlani, vincitore del Premio Urania 2011, I
senza -tempo, pubblicato su “Urania” n. 1588.
In una
metropoli entropica, che si ĆØ lasciata alle spalle l’utopia digitale
consegnandosi stancamente alle ultime manifestazioni del dominio mercantile
(ironicamente rappresentato da un box automatico per l’iscrizione
all'universitĆ ), domina una stirpe di vampiri psichici e antropofagi in grado
di deformare lo spazio-tempo sconfiggendo la morte. Una variopinta e riluttante posse proverĆ
a sfidarli trovandosi ad affrontare un esercito di creature assemblate grazie
ad un’arte a metĆ strada tra scienza e negromanzia.
I senza-tempo per definizione sfuggono ad ogni
determinazione cronologica: questa caratteristica permette a Forlani di
allestire dei tableaux a corona della narrazione principale, situati in tempi
storici diversi, dal futuro al passato (epica l’impresa dei bersaglieri
nell’oltretomba del 1870 in All’inferno, Savoia!), che non
suscitano alcun ottimismo nel lettore: i mostri si profilano dietro ogni svolta
della storia, discreti e orrendamente alacri.
Tra questi quadri spicca quello che secondo me ĆØ il
vertice assoluto di tutta l’opera: si tratta del racconto A tempo
indeterminato. Un’intuizione condivisa recentemente da altri autori
(come A. Daniele nelle prose raccolte sotto il titolo di Schegge
taglienti e pubblicata su “Carmilla”, o G. Genna in Dies
Irae), che guarda ad un’ Italia prigioniera di un ordine
sociale, economico, simbolico, sostanzialmente fermo agli anni
Ottanta, assume in queste pagine la forma di un incubo angustiante con
finale horror.
(SPOILER) Lucia insegue il sogno di un posto a tempo
indeterminato in azienda, iniziando uno stage tra colleghi “dall’incarnato
insalubre” “l’aspetto avvilito”, il “passo strascicato” e mani troppo “fiacche
e fredde”, all’interno di una “angusta irrazionale planimetria”, giustapposta
alla pianta di un cadente palazzo d’epoca. Il lavoro ĆØ insensato,
l’attrezzatura obsoleta, nell’aria ristagna un odore indefinibile, come di
aceto. L’ansia di perdere il posto spegne i sensi della ragazza che non sa e
non puĆ² decodificare, almeno inizialmente, tutti gli indizi che
dovrebbero portare ad una sola conclusione: alla D Servizi, questo il
nome della misteriosa impresa, c’ĆØ qualcosa di storto e pauroso. Le giornate da
pendolare trascorrono, i colleghi sembrano stazionare permanentemente in
ufficio, quasi esempi irraggiungibili di dedizione all’azienda. Intanto, con la
tensione narrativa che sale, Lucia, alle prese nientemeno che con dei floppy
disk, scova delle larve presso la maleodorante postazione di una spenta
collega; ma sorvola anche su questo: il lavoro ĆØ lavoro, dopo tutto. Anche
i discorsi tra colleghi sono d’annata, con effetti esilaranti per il lettore.
Poi
Venne fuori che era il
suo compleanno. Danilo, stordito, studiĆ² un calendario, l’indice
tremava sul quadrante […] Lucia lo strinse trattenendo il respiro, come se
temesse di affondare nel maglione beige che non gli aveva visto cambiare in un
mese […] Danilo la strinse per lunghi secondi, un abbraccio senza
forza. Le mani di lui che le scorrevano le scapole, le accarezzavano i capelli
e la nuca erano gelide. Nel petto, sotto il golf e la giacca, Lucia non
sentƬ il battito del cuore.
Non ĆØ ancora abbastanza evidentemente: la
percezione della stagista precaria ĆØ distorta e fuorviata dall'angoscia della
disoccupazione, incubo dei nuovi poveri vergognosi della piccola
borghesia. Una sera Lucia, fiaccata dalla piega insensata che sta
prendendo il suo lavoro, intravede qualcosa di informe e vagamente umano oltre
un vetro, ma nulla di definito; e alla fine di un’altra fatale giornata, la
protagonista dimentica le chiavi. Costretta a ritornare in ufficio vede,
finalmente. Per settimane ha lavorato fianco a fianco con dei morti,
quei patetici derelitti non sono che sfatte carcasse (trovo interessante
anche la scelta di caratterizzare inizialmente questi non morti attraverso
stanchezza, incertezza, stasi, sciatteria). Ma, di nuovo, arriva l’oblio.
Nell’epilogo la cosa intravista si fa
avanti. L’aspetto della cosa rientra nella tradizione
degli abomini lovecraftiani, un orrore cannibale in cui sono fuse generazioni e
generazioni di capitalisti famelici e lubrichi, aberrazione destinata a
pepetuarsi col sangue e la carne dei vivi, e con un esercito di morti viventi a
corona di un potere senza tempo. A fare da controcanto per tutto il racconto,
lo spirito bottegaio e meschino del titolare, il dottor Dulcamara, il quale
alla fine deve pur praticare il suo sacramento enunciandone la legge, che ĆØ
l’essenza del capitale, il quale annienta, ma in modi diversi, carnefici e
vittime:
Praticare [la negromanzia? La finanza?] riduce
cosƬ. Anch’io, quando il potere mi consumerĆ , per sopravvivere mi disferĆ²
in questa immortale poltiglia. RimarrĆ² in azienda con i miei padri in
eterno. L’unico inconveniente ĆØ che si ha fame sempre.
-Di carne umana?
-E’ a questo che servono gli stagisti.
Ciao, volevo farti i complimenti per i racconti sul blog e per il romanzo "I Senza-Tempo"... e giĆ che ci sono ti segnalo anche la mia recensione :) http://cumbrugliume.blogspot.it/2013/04/alessandro-forlani-i-senza-tempo.html Michele
RispondiEliminaGrazie! Pubblico subito la recensione sul blog.
EliminaBenvenuto in questi Avvilenti Paraggi, Michele.