Esce oggi per i tipi Delos Digital IL BESTIARIO DI LOVECRAFT, di Antonella Romaniello. Ho scritto l'introduzione al volume, che potete leggere qui di seguito.
All’autore e
inventore del più famoso tra i libri immaginari, e inventore di razze aliene
mostruose ossessionate dal raccogliere conoscenze su quel mostro che è l’Uomo,
e archiviarle in litoteche, biblioteche, fonoteche; conservare i cervelli
sottovetro di studiosi del Vermont, non sarebbe dispiaciuto un suo bestiario.
In The Festival
è riportato un lungo brano del Necronomicon che non è - come invece
troveremmo in una Chiave di Salomone, un Magus, un Almadel,
un Grimorio di Papa Onorio o insomma i libri veri di magia - una serie
di istruzioni per celebrare un rituale, ma al contrario un paragrafo
teratologico più dell’adespoto Liber Monstrorum dell’VIII secolo dopo
Cristo, del Trattato elementale di Paracelso o del Borges degli Esseri
Immaginari:
"Le profonditÃ
ultime della terra - scriveva l’arabo pazzo - non sono per l’occhio che vede:
poiché abbondano di straordinarie e terribili meraviglie (…) è antica la
tradizione secondo cui l’anima dei corrotti dal demonio non vuole distaccarsi
dalla creta del corpo, ma ingrassa e istruisce i vermi stessi che glielo
divorano; finché dalla corruzione nasce orrida vita (…) e cose che dovrebbero
strisciare hanno imparato a reggersi in piedi"
Quindi anche Al
Azif è un bestiario almeno in parte.
L’eco-etologo e
scrittore di fantascienza Massimo Pandolfi, in una breve pubblicazione sulla
zoologia del "mare monstrum", afferma che
l’evoluzione
fantastica è "non-darwiniana": essa si è costituita non su prove
certe, documentabili come vuole la scienza attuale, ma è stata invece prodotta
e generata da notizie e racconti, dal visto ma non misurato, dal narrato e non
raccolto. È un insieme di «si dice», un’evoluzione pettegola del «narrano che».
E riguardo orrori
e meraviglie che il mare può celare, Plinio il Vecchio (I secolo dopo Cristo)
era dell’opinione che ogni cosa esistente sulla terra avesse il suo omologo nel
mare. Il mare è l’orizzonte dell’ignoto e l’Aldilà , e L’Uomo lo ha da sempre
popolato di esseri immaginari: figuriamoci gli autori di narrativa fantastica.
Non ci deve
stupire se H.P. Lovecraft, un biologo marino dilettante come anche fu scrittore
dilettante, ha voluto fare sorgere i suoi mostri dall’oceano (Dagon; La
maschera di Innsmouth; L’orrore di Martin’s Beach con la moglie Sonia
Greene…), li ha voluti far abitare l’oceano (sempre Innsmouth; o gli
Antichi in una fase della loro storia com’è detto ne Alle montagne della
Follia) e, naturalmente, li ha fatti addormentare e sognare nell’oceano (Il
richiamo di Chtulhu). Né ci devono quindi meravigliare i loro coerenti
attributi marini (dagli asteridi Elder Ones de Le Montagne ai Mi-Go che
in qualche modo sono anche dei crostacei; ai tentacoli che caratterizzano
il merchandising e gli emuli di Lovecraft senza idee né talento).
Ma se il mostro
del mito classico è il mostro visto non-misurato, del narrato non-raccolto, del
«si dice» e del «narrano», le creature di H.P.L. sono invece (per usare i suoi
stessi aggettivi, enfatici e abusati) le creature dell’indicibile,
indescrivibile, innominabile e del non-euclideo; e che ci agguatano da quegli angoli
di immaginario che "sembravano acuti ma si comportavano come se fossero
ottusi". E continuano perciò ad attendere in eterno del tutto
indifferenti - alla faccia di Plinio il Vecchio - al loro omologo sulla terra:
quell’omologo non c’è.
"E allora?
Non è umano e non pretende di…"
esserci.
Tuttavia, la
zoologia prevede anche che certe specie si estinguano. Il più celebre per
esempio tra i mostri degli abissi, il kraken, pare estinguersi dai mari - e dai
mari del fantastico - attorno alla metà del XVIII secolo: comincia infatti
l’epoca delle spedizioni marine scientifiche, e anche il mare diventa
meno ignoto. Fino a che all’improvviso, il 30 novembre 1861, la corvetta
francese "Alecton" si imbatte in un kraken vivo, vegeto e
combattivo nel mare di Tenerife. I marinai tentano di catturarlo, ma non riescono
che ad amputarne un tentacolo e inviarlo a Parigi al Museo di Storia Naturale:
dove anche il calamaro gigante, così, finisce per spiaggiarsi dagli
oceani immaginari ed entrare tra le specie misurate e classificate. C’è però molto
di ironico e fatale nel fatto che di quel mostro - com’è oggi per H.P.L. - non
resti al grande pubblico distratto che un enorme tentacolo esposto in una teca.
Gianni Pilo e
Giuseppe Lippi, nella loro sottilissima ricerca per tradurre la parola che definisce
la vera origine dei Grandi Antichi del Mito, ci avvertono che il termine
preciso è filtrati dalle stelle, dallo spazio: varrebbe a dire da un
altro oceano, se lo si naviga con astronavi.
Ma "filtrati"
dice anche che quelle stelle da cui provengono sono stelle tra le fessure o le
crepe del cosmo fisico, o reale: come l’oceano dei mostri antichi resta ancora
e sempre un po' più in là .
Da Leviathan
a The Abyss a decine di altri film, alla serie tv The Terror dal
romanzo di Dan Simmons; al recente, mediocre e più-lovecraftiano-di-Lovecraft Underwater,
il cinema conferma che non ci sono, né che mai ci saranno, spedizioni
scientifiche che bastino a mappare tutti i mari ed estinguere tutti i kraken
del globo onirico-terracqueo: figuriamoci lo spazio (e da Alien in poi
l’abbiamo bell’è capito). Lovecraft, con i suoi mostri dal "collo del
diametro di ottanta metri" che affiorano da acque nere di pianeti
sconosciuti; e dal gomito grande quanto il cortile di una shunned house,
ha atterrito gli uomini di un nuovo secolo del fatto che no: non sono solo
piccoli rispetto al mare e l’oceano dei loro incubi; sono ancora più piccoli
in rapporto all’universo.
Un bestiario è in sé
stesso un mostro d’erudizione e enciclopedismo che vuole essere tutti i mostri:
penso al Liber composto di tre parti perché tale è la chimera. La testa
è umana (la prima parte del libro: che tratta dei quasi-umani siano razze o i singoli
individui), il corpo è di leone (gli animali dell’Africa, dell’Est e delle
tenebre del nord del Mondo) e la coda è di serpente (e qui troviamo i rettili e
le bestie dell’Oceano). Un bestiario dell’opera di Lovecraft deve quindi
annoverare le creature scaturite dalla mente di H.P.L.; tutti i mostri
che sono nati da una costola di H.P.L. (i suoi contemporanei dell’informale
"Lovecraft Circle"), e accennare a nuovi miti che oggi filtrano da
H.P.L. (la Demogorgone di Stranger Things, ovvero di D&D, mi sembra
un buon esempio). Antonella Romaniello ha fatto tutto ciò che può essere degno
di un essere umano: chi osa di più è una creatura di Lovecraft.
Un bestiario è sempre
afflitto dalla "vertigine della lista" - l’ha chiamata Umberto Eco: la
lista, o elenco, o catalogo, si usa quando di ciò che si vuole rappresentare
non si conoscono i confini, quando le cose da rappresentare sono in numero
molto grande o infinito, o quando qualcosa si riesce a definire solo
elencandone le proprietà , che sono potenzialmente infinite. La
lista può essere presente anche in opere non verbali: anche opere figurative o
persino musicali possono essere tali da suggerire una continuazione infinita oltre
i confini del quadro o del brano. Ovvero ciò che sono le creature di Lovecraft
e la loro prole letteraria (non solo stellare, come quella di Chtulhu).
Eco parla anche di
un’altra modalità di rappresentazione: la forma. Ma Antonella si occupa
di creature quali sono gli Shoggoth, la cui prima e principale caratteristica è
espressa da Lovecraft con l’insistito aggettivo "shapeless".
Ogni autore tra i
classici del weird che ha seguito le orme a stella di H.P.L. ha voluto essere
padre di un dio minore o creare nuove razze e creature infestanti. Quelle razze
e quelle stesse creature hanno quindi popolato videogiochi, roleplaygame, i
fumetti, il cinema, i boardgame, gli lp dell’heavy metal e le serie televisive;
oggi ci sono più statuette di Chtulhu in fumetteria, sulla plancia dei giochi
in scatola e il comodino dei nerd che in cima ai monoliti tra le paludi di New
Orleans.
«Ma sono in
resina, ma sono in plastica, ma sono Funko Pop, ma sono nuove!», voi
protesterete:
«Certo»,
risponderebbe il giovane Wilcox, «ma le abbiamo fabbricate questa notte mentre
sognavamo di strane città , e i sogni sono più vecchi dell’antica Tiro, della
Sfinge misteriosa o Babilonia ornata da giardini.»
La vertigine della lista delle creature di Lovecraft ci coglie da altezze - e da abissi - che è difficile immagine di più vertiginosi: il Lettore, con un Segugio di Tindalos accucciato nel proprio campo visivo, leggerà questo bestiario di Antonella con gli scribi della Razza di Yith (il Lettore potrebbe essere o diventare anzi - lo sappiamo - un eone, o un giorno o l’altro, uno scriba degli Yith…); viaggerà fino Plutone in un barattolo di formaldeide per conoscere i Funghi di quel pianeta, mapperà ed elencherà con uno scrupolo non umano la città non-euclidea tra le vette del Polo Sud, e assisterà con gli studiosi della Miskatonic University all’autopsia dei resti di un Elder One. Ma attenzione, ci avverte Dyer il geologo e esploratore: ché anche loro in fin dei conti non erano che scienziati, e anche noi figureremo in un bestiario di pietra verde.
Alessandro Forlani