Sister Hospitaller Gwyn by MeMyMine |
Abigail tirò una
raffica ai cinque hormagaunt che l’assalivano e ridusse i due colpiti in
macchie pallide sul pavimento. Ruotò sulla P rossa il selettore del combifiamma
e arse un altro alieno con un getto di promezio. Gettò il fucile, schivò un
artiglio, le fauci nere di un abominio; affondò la motospada nel carapace
lattiginoso. Ficcò in gola la pistola a un’altra bestia e schizzò le paratie di
chitina e polpa bianca.
«Amen», respirò.
Le frattaglie
appiccicose, maleodoranti dei suoi nemici le lordavano il viso, l’armatura, la
tonaca; gli occhi e le narici le bruciavano di fumo, di spurghi delle armi e di
acido tiranide. Lei sondò con l’auspex il corridoio di fronte a sé e rese
grazie all’Imperatore: l’apparecchio restò muto.
Ma si sa: l’alieno
è infido. E la macchina fallisce.
Abigail armò lo
stesso una granata a frammentazione e la fece rotolare in un condotto di
aerazione: l’esplosione sparse il suolo di lamiere e di rivetti, gas innocui
sibilarono tra le volte di metallo. Un allarme pianse danni strutturali e lo
scoppio di un incendio in qualche sotto-sottosezione: ma tra i rottami non si
vedevano chele elitre e denti, e i tubi non urlarono di fame xenomorfa.
Libero.
Avanzò.
Come in effetti
dovrebbe essere.
La bio-sonda della
nave che la attendeva ormeggiata in orbita all’approdo rilevava nel Sacro Eremo
di Santa Abramova quattordici profanatori per ogni grano del suo rosario: e
lei, fatte le somme e vuotati i caricatori, con questi ultimi cinque li aveva
tutti puniti. La piantina in pelle umana di quell’antico edificio -
ripiegata in una tasca: la conosceva a memoria; memorizzata durante il viaggio
nel catechismo per la missione - indicava che quel settore era l’ultimo da percorrere.
Abigail contò che attraversati tre ambienti si sarebbe ritrovata nella Cappella
Teleportandum, dove la avrebbero recuperata com’era scesa a quel sacro compito:
sola e benvoluta dall’Imperatore.
«Vogliamo
accompagnarvi, sorella palatina», la avevano supplicata sorella Gaga e sorella
Ilona: ma lei rimproverò le Celestine della sua guardia di dubitare della sua
fede, e soprattutto disobbedirle:
«Ãˆ un atto di
penitenza», sospirò, «farò da me»; e spero non pensiate che io tema qualche
insetto.
La Superiora le
oppose che andare senza scorta era contro la Regola dell’Ordine: Abigail disse
che a bordo l’Ordine era lei. La Superiora insistette ancora sul peccato di
superbia, ma lei era già chiusa nella capsula di atterraggio e accendeva già i
motori per gettarsi sull’Eremo.
Atterrò bruciando
alieni coi retrorazzi e uscì alla carica brandendo la motospada: dalle terrazze
fino a scendere nei sotterranei, dodici ore di ingaggio. Incominciava a
sentirsi stanca: il mio lavoro però è compiuto.
Passò in un’altra
stanza.
L’auspex crepitò.
A un centinaio di
metri di fronte a lei, oltre la porta a tenuta stagna di un deposito provviste,
c’era qualcosa che respirava nelle sale di metallo.
Abigail ricaricò,
avanzò verso il passaggio. Da più vicino la luce verde del bio-sensore rivelò
che quel qualcosa doveva essere… umano.
Ma la macchina
fallisce.
Sparò in aria,
puntò l’arma alla porta e attivò il voxincremendum sulla gorgiera
dell’armatura:
«Onora
l’Imperatore immortale...», tuonò.
«… perché Egli è il
nostro protettore», le rispose una voce dall’altra parte: le aprì.
Si affacciò una
ragazzina in armatura potenziata.
Gli occhi azzurri
le bruciavano di orrore e codardia, le sue vesti e il viso bruno troppo in
ordine e puliti. Non imbracciava fucile requiem né impugnava motospada:
«Perché non sei
morta?», Abigail la apostrofò.
La novizia si
infilò il copricapo triangolare che stringeva tra le mani, lo sistemò sulla
fronte: un caduceo in filo rosso ricamato sulla banda.
«Una hospitaller»,
lei si scusò: a un Ordo Non Militante non era imposto di servire in
combattimento.
«Dove sono sorella
Lopez e sorella Malika?», chiese la ragazza.
«Qual è il tuo
nome?»
«Sorella Lamarr.»
Abigail pensò
commossa alle custodi dell’Eremo: che - trasmesso l’SOS di infestazione
tiranide - erano morte l’istante dopo tra le fauci degli alieni:
«Sono accanto
all’Imperatore. Sono state vendicate. Ma ora in questo luogo è tornata la Sua
luce.»
«Mi hanno chiusa
qui dentro quando quelli…»
«Lo immagino. Il
martirio è un privilegio di sorelle più anziane.»
La novizia crollò
in un pianto isterico. Abigail guardò la coltre di buste in plastica e
scatolette che copriva il marmo scuro e le grate del pavimento; le mura cieche,
le elettro-pendole in tilt, i sacchetti di feci e le bottiglie di orina; la
luce fredda dei tubi neon tra gli archi gotici del soffitto che alterava la
percezione del trascorrere del tempo. Sorella Lamarr doveva essere restata lì,
prigioniera ma al sicuro, per tutte i sette mesi dall’inizio dell’invasione.
Forse anche di più.
«Ci vivevo, io,
qui dentro...»
E questo era un
miracolo.
«Ãˆ finita, tu sei
salva», lei la confortò, «sono venuta a scacciare l’empio. Perdonaci, sorella,
se non siamo giunte prima: l’astronave si è incagliata in una secca dell’Immaterium.»
«… ma non dovreste
trovarmi qui»; la novizia si sfregò gli occhi, chinò il capo con vergogna.
«I registri
riportano solo Lopez e Malika.»
«… e non avevo che
loro due.»
«Eri qui in
pellegrinaggio?»
«Sono esule.
Bandita.»
Abigail scostò
schifata quella piccola peccatrice:
«Cos’hai fatto
alla tua età per...»
«Ho mancato al mio
dovere. È abbastanza.»
«Sì, lo è.»
Abigail comprese che
non avrebbe ottenuto altro, perché il silenzio di un peccatore è più profondo
dell’universo. Ma che cosa avesse spinto una bambina di… diciott’anni, stimò, a
nascondersi negli abissi di quel santuario di solitudine forse, in verità , non
voleva immaginarlo.
Fece cenno alla
novizia che la seguisse in un’altra stanza:
«Ma non ti posso
lasciare qui. In realtà non mi è permesso.»
«Non dovrei cercar
rifugio nelle case di un Ordine», Lamarr annuì.
«E neppure su
un’astronave.»
«Ma qui nell’Eremo
mi hanno accolta. Con gentilezza. Con carità . E adesso è incustodito.»
«Manderanno altre
sorelle per assolvere a questo compito. Tu, in ogni caso, non potrai tornarci
più. Ecco: è quella la cappella», attraversarono un’altra sala, «ma al momento non
ho voglia di discutere con una bimba di rimorsi, di regole e diritto canonico.
Attiva gli apparecchi», Abigail le ordinò.
Lamarr intonò le
appropriate litanie, e gli spiriti-macchina dell’imponente
baldacchino-teletrasporto elevarono alle volte un gregoriano metavoltaico.
Lampi azzurri attraversarono le tre navate di acciaio-vetro, e un portale
iridescente illuminò la piattaforma. Lei, sintonizzatasi con la nave, trasmise
le coordinate e confermò l’estrazione.
«No: un momento.
Fermate tutto», si insospettì.
«Qual è il
problema, sorella palatina?»
«Palatina.
Palatina!», insistettero dall’orbita.
Lei posò il
trasmettitore sul baldacchino e guardò meglio tra le colonne che sfrigolavano
di luce blu. Una forma repellente, allungata, con due falci e tentacoli,
affiorò tra quei bagliori e le ombre circostanti.
Com’è possibile
non l’abbia prima…
Non avrebbe mai
potuto individuarlo con il sensore:
Gli auspex non
rivelano la presenza di un Lictor.
L’enorme bestia si
erse in piedi tra i bagliori del portale, quasi oscurata da quelle folgori che
avrebbero - al contrario - dovuto illuminarla. Ma la carne, la chitina,
le fauci nere di quelle cosa non provenivano da un universo di leggi fisiche sane.
Lamarr gridò
impietrita con le spalle ai macchinari, l’alieno percepì il terrore ghiotto di
quella preda. Abigail tirò una raffica a dissuaderlo dal pasto e ad attrarre su
di sé le sue schifose attenzioni. Il Lictor le saltò contro. Lei sparò di
nuovo. I proiettili esplosivi foracchiarono il soffitto: quell’insetto era
veloce, lo vedeva a malapena. Abigail settò il fucile in lanciafiamme e lo
avvolse in una nube di promezio e fumo nero. L’abominio crollò arso sul
baldacchino teleportandum con un fracasso di meccanismi che a lei non piacque
affatto: gli spiriti-macchina crepitarono offesi, sanguinarono liquami e olio
denso sul pavimento.
Il portale si
infiochì.
«Vai tu per
prima!», Abigail gridò a Lamarr, e ordinò al trasmettitore che riprendessero
l’estrazione.
«Palatina!
Palatina!»
«Sto svolgendo il
lavoro dell’Imperatore, sorelle. Attivate, ma attenzione: siamo due.»
«Ricevuto»,
confermarono le sottoposte sull’astronave, «estrazione in meno venti secondi…»
La novizia non si
spostò: non mi ha neppure sentita!; lei scattò alle macchine a
trascinarla al portale mentre il Lictor si rialzava furibondo e ustionato.
Fletté i tentacoli, levò le falci, tagliò il metallo con i runcigli; avanzò
contro di loro spezzando il marmo coi grandi zoccoli.
Abigail lo
crivellò, ma la bestia non cadeva; capì che in realtà non la colpiva
neppure: i suoi proiettili, e poi le vampe, si smorzavano inefficaci, in
quell’aura di irrealtà che avvolgeva lo xenomorfo.
«E va bene»,
strinse i denti: gettò il fucile, brandì la spada. Cantò un inno all’Imperatore.
Godette il morso e il raglio dell’adamantio nel nero osceno del carapace e la
carne dell’alieno.
Il portale per la
nave le sembrò rimpicciolire, e la luce iridescente si smorzò in bagliori
bianchi. Uno spirito-macchina lamentò un’avaria.
«Vai, ragazzina!»,
ordinò alla novizia.
Mentre il Lictor
la assaliva più violento e più veloce. E nel suo pugno la motospada si faceva
più pesante. Abigail gli mozzò un arto con un fendente rabbioso: perché lo
vuole l’Imperatore. Per un colpo di fortuna. Poi, col fiato corto, arretrò
e poté solo parare. Una falce le toccò un braccio, e il veleno del
Lictor le annerì la ferita.
Si sentì stringere
in vita e trascinare all’indietro. La novizia la sottrasse all’abbraccio
dell’alieno, e la spinse nel portale che si stava richiudendo:
«Mi hanno accolta»,
le sorrise, «Ã¨ casa mia. La mia casa sarà eletta a santuario delle genti, ha
detto l’Imperatore, ma l’alieno l’ha ridotta a spelonca d’abominio.»
Lei la vide prendere
il suo fucile da terra e avanzare fiammeggiando e sparando contro il mostro.
Che moriva,
finalmente.
E questo era un
miracolo.
Poi, in un istante
di nulla, Abigail si ritrovò nel teleportandum dell’astronave.
«Palatina, cos’è
successo?», la attorniarono le Celestine. La Hospitaller di bordo guardò
apprensiva le sue ferite.
Abigail fissò alla
lastra un ampio foglio di pergamena, ordinò a un servo-teschio di farle luce e attivò
l’elettro-stilo per redigere il rapporto.
Scrisse che
l’Eremo di Santa Abramova era stato disinfestato.
Le custodi erano
morte nell’attacco degli alieni, ma il santuario era libero, ora, e di nuovo
sorvegliato.
Da una piccola
peccatrice.
«Ãˆ un miracolo»,
concluse.