Recensione di Enzo Conti per Heroic Fantasy Italia
ARABRAB DI ANUBI: Ovvero quando la S&S si ibrida sfacciatamente
Si parlava già da qualche tempo di questa nuova impresa di Alessandro Forlani, e adesso, finalmente, eccolo qui, Arabrab di Anubi, romanzo Sword & Sorcery, pubblicato da Watson Editore nella collana TrueFantasy diretta da Alessandro Iascy e Alfonso Zarbo.
In realtà non si tratta propriamente di un romanzo ma di una silloge di racconti (dieci per la precisione) che hanno in comune la protagonista, la leggiadra e mortifera Arabrab del titolo, guerriera egizia devota al dio sciacallo Anubi; e il contesto, un Mediterraneo di fantasia ambientato in una Età del Bronzo reinventata e piegata alle esigenze della narrazione.
In prima approssimazione, Arabrab (che, notatelo, è l’inverso speculare del nome Barbara - e mi si dice, da fonti ben informate, che una Barbara sia la compagna di Alessandro) rimanda a tutta una lunga serie di guerriere un po’ queer e transgender di cui la letteratura fantastica letteralmente trabocca, dai poemi cavallereschi in poi. Senza contare le amazzoni del mito classico e la Camilla virgiliana. Arabrab di Anubi si affianca così a Bradamante, Marfisa, Britomarti, Scathach l’Ombrosa, e giù giù fino a Red Sonja, Dark Agnes di Castillon, Jerel di Joiry, e via via fino a Goccia di Fiamma e Ombra di Lancia e Alinor la Rossa, e la ferrigna Alasia: Arabrab di Anubi si situa su questa linea ed è in buona compagnia, eroina spaccacrani e sbudellatrice, come le sue compagne letterarie, impietosa, cupa, determinata, archetipo della femmina assassina e liminare che turba con la sua sola presenza l’ordine patriarcale del mondo (e infiamma il nostro immaginario di irriducibili e indocili sovvertitori di stereotipi). Tuttavia, rispetto a questo universo letterario, Arabrab rappresenta una innovazione, che non è tanto nel personaggio in sé, quanto nel contesto. La sua epopea infatti disegna una delle più grandiose operazioni di ibridazione che la narrativa di S&S abbia creato negli ultimi tempi e nel nostro paese. Nella sua saga eroica e lugubre si ritrovano elementi tratti da ogni fronte della narrativa fantastica in una mescolanza sfacciata e dichiarata di S&S "pura" e di Scifi altrettanto "pura", con incrociamenti e innesti di weird e di horror e di tutto quello che volete. Perché, infatti, in queste storie c’è di tutto, dallo S&S classico al retrofuturismo, alla Sci-Fi avventurosa. C’è anche, e a dosi massicce, buona parte dell’universo Warhammer, sia nelle situazioni d’avventura, sia nella descrizione dei personaggi. Tanto per fare un esempio, leggetevi l’irruzione in battaglia di uno dei capoclan degli Arii nell’episodio Vimana!:
«Una quadriga laccata ed oro che garriva di stendardi, trainata da marwari che schiumavano furenti, avanzò dagli squadroni dei capiguerra superstiti. (…). Un imponente guerriero Arii dagli occhi neri, omicidi, la barba scura e i capelli lunghi scarmigliati dall’assassinio, tenne le redini con i denti e mulinò martello e falce. Oro e corallo ed avorio e seta lo vestivano di maestà , ostentava una corona di ossa umane e di zaffiri. Due scimmiette ingioiellate, sul tettuccio del suo carro, si accanivano ai tamburelli che battevano a battaglia».
Ragazzi, questo qui è balzato fuori, armato, dipinto e già bell’e pronto per il tavolo da gioco, direttamente da un blister di Warhammer! E la cosa davvero straordinaria è che nel contesto ci sta tutto, in una descrizione impeccabile e trascinante, senza una sbavatura. Ve lo vedete irrompere dalla nuvola di polvere e di eccidio come se vi dovesse veramente venire addosso e voi state lì a chiedervi come possa essere arrestato nella sua corsa omicida. Anzi, non ve lo chiedete nemmeno perché vorreste che la sua corsa non si arrestasse affatto, e che quelle maledette scimmie ingioiellate che sembrano così pacchiane e sgargianti e che invece sono parte integrante ed esaltante della rappresentazione, non smettessero mai di far risuonare i loro tamburi di guerra. Con mano leggera, Forlani ha trasformato il potenziale kitsch della situazione descrittiva in una potente visione nella quale, senza alcun timore reverenziale, ha riversato tutto un universo di rimandi e di allusioni. E il bello è che ce lo fa piacere anche a noi! La stessa Arabrab rinvia continuamente a questo stesso universo di gioco. Arabrab è infatti una Red Sonja cooptata nell’Ordine della Sororitas, e come tale si comporta. Una Sorella Combattente, devota al suo dio fino al limite del fanatismo, pronta ogni volta a rischiare la testa e l’anima pur di soddisfare le richieste dello Sciacallo. Sbattuta da un capo all'altro del Mediterraneo, dalla Sardegna a Creta al Lazio preromano, fino alle foreste del Grande Nord, Arabrab si scontra con mostri, demoni, poteri occulti, alieni venuti dallo Spazio Profondo abbattendoli impietosamente e con irridente facilità anche quando sembra messa alle strette e pare soverchiata dalla potenza degli avversari. A Forlani piace mostrare la sua eroina in azione; gli piace mostrarla nella furia della strage ma anche nella fragilità di una apparente sconfitta: il successo delle sue imprese, infatti, passa sempre attraverso un piccolo calvario di prigionie e di momentanee disfatte da cui la sua forza d’animo, ma spesso anche l’aiuto imprevisto di improbabili compagni d’avventura, la risolleva e la conduce alla vittoriosa conclusione dell’impresa. Forlani sa, e lo sappiamo anche noi, che Arabrab non potrà essere sconfitta, che la spada e gli incantesimi appresi nella Dimora dello Sciacallo la rendono indomabile e che quindi è inutile tirarla troppo per le lunghe. La forza narrativa di questi racconti, infatti, sta altrove.
La vera, potente ibridazione operata da Forlani non è quella tutta esteriore delle "fonti" e dei personaggi: essa, invece, è avvenuta, sapientemente e intenzionalmente, a livello stilistico. Perché la novità vera di questa, come di molte altre avventure forlaniane, è data dalla cifra espressiva e formale della sua scrittura.
È a questo livello che la S&S forlaniana si è ibridata in maniera spontanea (e al tempo stesso costruita e pensata a tavolino) con la poesia epica e soprattutto con il grande melodramma settecentesco. Mi spiego. A differenza di quando scrive SciFi, nelle sue opere di S&S, e in questa in particolare, Forlani finge di scrivere in prosa, ma in realtà pensa in versi. Spesso in ottonari. Riprendiamo, per fare un esempio, la descrizione già citata delle scimmiette e rileggiamola prestando attenzione al ritmo e agli accenti:
«Due scimmiètte ingioiellà te // sul tettùccio del suo cà rro // si accanìvano ai tamburèlli // che battèvano a battà glia».
È una quartina di ottonari, con la tipica cadenza della canzone popolare e della ballata epica. Vi torna in mente la carducciana “Leggenda di Teodorico” («Sul castèllo di Veròna // batte ìl sole a mezzogiorno», con tutto quel che segue). È non è l’unico esempio possibile, né l’ottonario camuffato da prosa è l’unico metro a disposizione del nostro autore. Marziali decasillabi, epici endecasillabi, novenari e senari sono sparsi nel corso della narrazione dove meno te l’aspetti, a dare pregnanza alla scrittura e sostenutezza ed eleganza alla narrazione.
Anche i suoi personaggi pensano e spesso si esprimono in versi. Sentite Arabrab come si oppone alle richieste di un inviato del Faraone che vorrebbe impadronirsi di un automaton:
«Va distrutta, è un’empietà , // noi perciò la bruceremo».E sentite come prosegue il dialogo:«Sei fanatica».«Devota. // Quella nave è il mio tributo».
Come in un melodramma settecentesco, nella concitazione del dialogo Forlani fa in modo che il serrato botta e risposta fra due personaggi non perda né il ritmo né l’intensità della scansione metrica. E tutto il libro va di questo passo in una fitta trama di eleganti fraseggi che tessono colloqui, azioni, riflessioni. I personaggi S&S di questi racconti sono così calati nel loro universo di ballata popolare e melodramma che non possono parlare in maniera differente, e quando si sforzano di parlare in prosa usano comunque un linguaggio eloquente, poetico, evocativo. Anche quando battibeccano e cercano di essere volgari. Anche allora sfanculano in versi. Certo, nel nostro Sacro Genere ci sono molti autori dalla parola "poetica": cito, solo a mo’ di esempio, due dei più rappresentativi della mia generazione, Mariangela Cerrino e Benedetto Pizzorno: ma entrambi scrivono in una prosa che, nutrita com’è di antiche nostalgie e di rimpianto per un mondo scomparso, sa essere molto lirica ed evocativa ma che non ha mai un andamento ritmico evidente e misurabile in termini di metrica classica. In Forlani, invece, o almeno nel Forlani di questo romanzo S&S così denso e pregnante e così differente dalle altre sue prove di S&S o di SciFi classica, la poesia risiede nell'intima configurazione della scrittura: nel linguaggio, nell'uso sfarzoso del verbo e della sintassi forzati entrambi fino al limite della sgrammaticatura, ma di una sgrammaticatura voluta, cercata, costruita a creare un mondo espressivo pieno di evocazioni e di oscuri splendori. Guardate, per esempio, come converte impunemente i verbi intransitivi in verbi transitivi («Ruzzolò l’erta sassosa», invece che «Ruzzolò giù per l’erta sassosa», roba da far impallidire qualunque cruscante); o come semplifica l’azione servendosi audacemente di un verbo forzato al di là del suo ambito semantico («Se volevi una conferma del disprezzo di tuo padre», il sacerdote l’avvelenò, «ne hai appena avuta un’altra» – e se ne potrebbero citare a decine).
Ho scritto, non ricordo più dove ma lo ripeto qui, che Forlani sostituisce all’ordo naturalis del discorso un suo proprio personalissimo ordo artificialis e che in questo modo si costruisce un linguaggio audace e ardimentoso in grado di narrare per rimandi e allusioni: ebbene, in questo suo ultimo romanzo l’audacia espressiva, ibridata fino al punto massimo di tensione, ha modo di espandersi liberamente dando vita, anche formalmente, a una intensa ballata epica popolare destinata a rimanere a lungo nella memoria del lettore.