Giornata Mondiale della Poesia 2021

 


 

Lettera d'amore a una musa


Ecco un fatto, nell’amore:

che appassisce nel tacere;

le parole più importanti

che non vengono più dette.

Che si incrina, si rassegna

di promesse disertate;

di propositi ascoltati

che non vengono più uditi.

 

Ero ancora solo un bimbo

spaventato dalla notte

che ti vidi a piedi nudi

passeggiare nelle fiabe.

Ero forse tredicenne

-        due scaffali, il sole fioco

che accucciata sul divano

mi ascoltasti: «vai avanti.»

 

A vent’anni fummo entrambi

consapevoli, imbecilli,

da prometterci che «sì»

lungo i «no» di questa vita.

Ero un altro, in meglio e peggio;

Tu la stessa quale resti:

eri nera, luminosa,

putrefatta e profumata.

 

Tu sei stata pietre e scale,

sei la stanza d’ospedale,

la stazione, sei Milano,

l’Adriatico e colline;

fosti il bronzo, il rigo greco,

il caffè e gli anziani curvi;

ti ho veduta in VHS,

oro, legno ed il velluto.

 

Sto invecchiando (Tu non puoi):

ti ho mai detto queste cose?

L’abitudine declina

giorni umani in pomeriggi.

Io non voglio farti il torto

di annuire e dell’usato,

di insultarti «sì, va bene»;

di ignorarti «come vuoi.»

 

Non vorrei tornare a Te

-        fuori il mondo, sotto il foglio

con le idee, con le parole

puzzolenti ed opportune:

vorrei essere pulito

del cattivo vero odore

che avevamo, veri e vivi,

quando tutto era più nostro.

 

Certo, sì che Tu lo sai

(cosa so che non sia Tu?):

ma ti sfioro il volto antico

con le sillabe pulite,

per guardarti - con amore

con pensieri trasparenti.

A una Musa queste cose

si confessano in silenzio.

 

 

Che cos’è che ti ho promesso?

 

 

Non ti avrei mentito il mondo

sotto stracci veritieri;

non avrei cantato d’epa,

d’ombelico e di mutande,

IO maiuscolo grassetto

negli esametri di ME:

ma indagato nell’arcaico,

percepire cos’è dio.

 

Non avrei deriso i morti

d’ermellino di poeta;

«va in maiuscolo, la P»

in brochure di assessorati.

Sono calvo, ho troppa pancia

per il nero a dolcevita;

non ti ho detto «storyteller»:

ne avrei l’anima spezzata.

 

Non avrei tradotto il cuore

nel dettato di un partito;

non potrei mai umiliarti

d’asterischi e verbi in rosa.

Non sei stata «a fianco»; «accanto»;

non sei stata «al femminile»:

Tu sei Tu perché persona,

e un amore è tale umano.

 

Non avrei cosparso il nulla

di bacetti e di sorrisi,

non t’ho chiesto occhioni, ciglia,

le vetrine e dietro niente.

Non mi avresti mai amato

sulla scena dei cretini;

non sei stata inconsistente

mentecatta opportunista.

 

Com’è a volte nell’amore

siamo stati chiusi e soli,

ti ho taciuti i giorni grigi,

rifiutato averti accanto,

ti ho tradita di codàrdia,

l’ho pensato, che «mai più»:

sarei stato latta, sabbia,

l’immondizia su una spiaggia.

 

Ti ho tirata per le trecce,

messo i dadi nelle mani;

ti ho tirata alla bisboccia

quando invece Tu eri stanca:

che mi avresti visto dentro,

che mi avresti sussurrato.

Fui cretino, fui senile:

fosti saggia ed infantile.

 

Ti ho mai detto queste cose?

Solo in queste resto onesto.

C’è un periodo, nella vita,

che vuoi solo fare a botte;

c’è un periodo rancoroso:

sei convinto che le hai prese;

c’è un periodo, più maturo,

quando impari che ne hai date.

 

Ma Tu ti accorgi subito

se il cuore ha fatto a pugni

 

(lo sai: non è scontato

 che Lei sia qui con te).

 

Nei giorni starnazzati,

nei piombi dell’inutile,

c’è un fatto, nell’amore:

si torna sempre a Sé.

Mi insegni le tue sillabe,

conosco quelle sole;

vorrei dirtelo sempre:

sei Tu queste parole.

 

Alessandro Forlani

sedicente scrittore, è nato negli anni '70 del XVII secolo, si è reincarnato nel XIX, nel XX e millenni a venire. Nerd, negromante, roleplayer e autore "difficile" di racconti fantastici. Di giorno si impaluda da docente universitario e ciacola di sceneggiatura, cinema e scrittura; di notte, che dovrebbe far l’artista, piuttosto guarda film, legge fumetti, ascolta musica barocca, gioca a soldatini e poi va a dormire. Perché crede che sia più sano scrivere in questo modo.

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