Insogno - di Simonetta Olivo





La mia prefazione all'antologia di fantascienza "Insogno", di Simonetta Olivo (Delos Digital). Il volume è disponibile su Amazon e vari webstore





Questa antologia probabilmente non esiste, e neppure tu che leggi.
Forse c'è qualcuno, in un futuro simulato, che ha acquisito da un archivio di momenti mai vissuti il ricordo e le impressioni della lettura di questo libro. E di leggerlo in un qui e in un ora artificiale.
La prima volta che Simonetta mi propose i suoi racconti dovetti vincere la mia forte antipatia per la narrazione al presente. Letto il primo sperai dunque che in altri testi avrebbe usato un altro tempo verbale, e invece quelle storie proseguirono, ma adesso. Solo in seguito ho capito il motivo, o meglio necessità, di tale scelta narrativa: ed è questa la prima cosa da comprendere del suo lavoro.
Una narrazione al passato significherebbe che qualcuno (o un'istanza enunciativa) è sopravvissuto al tempo della storia e che ora è qui per raccontarcela. Ma le storie di Simonetta sono storie che finiscono e finite, sono storie della fine, degli istanti della fine: come quelli che il Krapp di Samuel Beckett ha registrato sul suo Ultimo Nastro; che si collocano in uno "shining" di desolata consapevolezza di avere ormai perduto anche l'ultima occasione. Un eterno struggimento nel migliore dei gironi ( "che è pur sempre all'Inferno" ): e noi, come Daniel dell'omonimo racconto, di fronte ad Anna nuda e ubriaca non siamo più sicuri di poter partire (corsivo dell'autrice).
"These fragments I have shored against my ruins": con questi frammenti ho puntellato le mie rovine, scrive Thomas Eliot nella Terra Desolata. Per l'epigrafe di Insogno, basterebbe sostituire a quei fragments i frame dell'informatica e di nastri videomagnetici.
L'autrice mi parlò di una ricerca e disciplina che mirava all'essenziale: la stupidaggine della scrittura rasciutta, scarna e senza fronzoli che, ai privi tentativi, tutti quanti ci raccontiamo anche credendoci, magari. Però mi sono accorto (e credo che anche lei ne sia ben consapevole, per l'uso che ne fa e i risultati che ottiene) che gli asettici paragrafi dei racconti di Simonetta assomigliano a lacerti di memoria che, con il trascorrere del tempo (e non di rado sorge il dubbio di quale tempo), ci appaiono inquietanti: perché sembra non appartengono ai personaggi protagonisti.
Né è detto che quei lacerti si susseguano in un rapporto di causa-effetto. In Tertium, per esempio, il racconto si svolge su tre piani diversi, tra loro collegati da espedienti narrativi che trovo somiglianti al noto test di Rorschach: da una parte lo spaziotempo di un thriller fantascientifico che potrebbe solo esistere negli appunti di un'autrice di romanzi, Linda; dall'altra quell'autrice, immersa in siparietti da sit-com sugli scrittori - ovvero in piena fiction - che rivive nei ricordi della vittima del thriller, Elisa, e di quelli di suo marito sospettato dell'omicidio e interrogato da un robot-investigatore. Se un'esplicita "capovolta" citazione di Blade Runner ci suggerisce che Elisa esiste solo in un racconto di Linda ( "è l'anima di Peter" ), Linda allo stesso modo non supera il suo test quando stenta a riconoscere il proprio volto riflesso su un finestrino. Che è una delle tantissime lastre di vetro che tornano ossessivamente nei racconti della silloge.
Dal punto di vista letterario, meta o ludico-letterario, ci troviamo nel finale di Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino o dei Sei personaggi di Luigi Pirandello. Personaggi così soli, così incerti della realtà che li circonda o forse no - figuriamoci degli altri, figuriamoci gli androidi! - da accanirsi tuttavia per tutto il libro nella ricerca attraverso il tempo, lo spazio e l'illusione di un Altro così altro che potrebbe essere vero.
So che Simonetta scrive spesso pensando al cinema, più però come orizzonte culturale che non tecnico (per quanto la narrazione al presente sia propria dello screenplay). In effetti, il primo riferimento che mi è venuto in mente raccogliendo le idee per questa introduzione è stata una riflessione di Pier Paolo Pasolini sul modo di girare di Federico Fellini, su una scrittura registica che simula ciò che accade nel sogno: in cui quello che dovrebbe essere il soggetto e l'oggetto dell'inquadratura è sempre ai margini o al di fuori della stessa. Come nei sogni, sappiamo che c'è ma non riusciamo a focalizzarlo. E il sognatore stesso può apparire di spalle (come anche un narratore onniscente) come qualcuno che non finisce mai di guardare.
Aggiungiamo che Fellini scrisse: "i sogni ci insegnano che esiste un linguaggio per ogni cosa". Il neologismo che da il titolo alla silloge è derivato da un termine dialettale friulano: insumiasi, letteralmente "insognarsi", ovvero trovarsi dentro il sogno. I racconti, dichiara Simonetta, sono tutti collegati tra loro con richiami allo stesso scenario che si ripete e moltiplica nello spazio; un universo immaginario che rappresenta l'ulteriore leitmotiv della raccolta.
Ovvero, per riassumerla in due parole che ben conoscono tutti coloro che affrontano buzzatiane notti difficili, un sogno ricorrente.
"Un sogno per alcuni, un incubo per altri", potrebbe dire Merlino - evaso guardacaso da un'onirica prigione - pronto a sfidare e distruggere Morgana nell'Excalibur di John Boorman.
Il Duemila-e-chissà-quando all'orizzonte di queste storie (sempre, beninteso, che possiamo fidarci di questa data e non sia anch'essa un ricordo simulato, come il 1999 in cui Matrix ci tiene immersi) è infatti uno scenario di uomini, donne e androidi capaci di sogni elettrici la cui apocalisse è scandita da sensazioni minutissime: luce che sbiadisce, sassolini che fanno cerchi nell'acqua, carta ripiegata tra le dita, foglie che cadono leggere, aria salmastra, il muschio sulle rocce... Ogni pagina ne è fitta. Ma si emerge da queste immagini e colori delicati con il malessere sotterraneo di una crisi da astinenza da realtà.
Per aumentare l'efficacia di certe immagini suggerii a Simonetta di eliminare molti "come" dai suoi periodi, e colpire il lettore con sensazioni, luci, odori e vocaboli "materici" senza attenuarli enunciando similitudini (che è una forma di prudenza comunissima negli esordienti). Poi mi sono accorto che quei "come" non servivano a spiegare al lettore: erano i personaggi che tentavano di capacitarsi cosa stesse accadendo loro, cosa stessero provando; "le strette vie a labirinto sono uno scenario lontano, insensato, che Nicola scorge come se fosse immerso nella profondità del mare".
In Insogno ci sono molti Crolli, per citare un bel saggio di Belpoliti che si apre con il XVI Arcano Maggiore dell'11 Settembre 2001. Se proprio vogliamo dire al lettore pigro cos'è successo, succede, succederà, una delle possibilità è che sia tutta simulazione: "il pianeta è diventato un unico blocco di ghiaccio, solo l'Intelligenza Artificiale è sopravvissuta, ha continuato a evolversi (…) il vostro corpo non esiste da millenni, voi non siete qua, i vostri dispositivi intraneurali sono qua". Un'altra alternativa al "io sono vivo, voi siete morti" del Runciter di Ph. Dick.
Un'altra possibilità è prestare la propria mente a un "Progetto" che consente a vecchi ricchi di colonie extraterrestri di fare bei sogni mentre dormono in capsule criogene. Sperando in una immortalità che - in un tempo fatto a pezzi, riscritto, cancellato e rimontato - forse ha già essa stessa perduto di valore.
Scrive bene Paolo Fabbri: "le visioni del sogno non sono immagini-memoria: nel loro sovrapporsi - segni di segni, segni su segni - non c’è profondità. Pur riferite al passato, sono serie di attimi senza padrone: in attesa di regia, danno tempo al tempo. Nella successione orizzontale della lettura, sciolti da ogni implicazione narrativa, i segni e i disegni sfilano e si susseguono come ritornelli semantici e visivi."
L'ultimo racconto, Umanità, si apre e si conclude con bandiere gialloverdi sopra il palco di un Presidente che "non ha nulla di eccezionale nell'aspetto. Eppure, da ogni gesto emana una forza morale mai vista. In un essere umano"; acclamato da una folla di persone, di robot, e di robot che in un racconto precedente non si fanno scrupolo di pensare che "ci siano troppi umani sul nostro pianeta". Il palco è a sua volta dominato dal logo enorme di una multinazionale del sonno (per pochi fortunati) e dello sfruttamento dei sogni di tutti gli altri, ovvero di noi tutti. Su una piazza dedicata alla forza di polizia.
E a me sono sembrati i due frame della cui autenticità ci sia meno da dubitare.

Alessandro Forlani

sedicente scrittore, è nato negli anni '70 del XVII secolo, si è reincarnato nel XIX, nel XX e millenni a venire. Nerd, negromante, roleplayer e autore "difficile" di racconti fantastici. Di giorno si impaluda da docente universitario e ciacola di sceneggiatura, cinema e scrittura; di notte, che dovrebbe far l’artista, piuttosto guarda film, legge fumetti, ascolta musica barocca, gioca a soldatini e poi va a dormire. Perché crede che sia più sano scrivere in questo modo.

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